Archivio stagione 2014/2015
“L’Avaro” di Molière con Lello Arena… in tournée nell’Isola con il CeDAC
CeDAC
XXXV Circuito Teatrale Regionale Sardo
GIU’ LA MASCHERA!
Bon Voyage Produzioni e Civit’Arte 2013
L’Avaro
di Jean-Baptiste Poquelin – in arte Molière
lunedì 12 gennaio 2015 – ore 21 PALAU / Cine Teatro Montiggia
martedì 13 gennaio 2015 – ore 21 LANUSEI / Teatro Tonio Dei
mercoledì 14 gennaio 2015 – ore 21 MACOMER / Teatro Costantino
giovedì 15 gennaio 2015 – ore 21 ALGHERO / Teatro Civico
Lello Arena interpreta Molière: l’istrionico attore napoletano è il protagonista de “L’Avaro”, una delle più celebri e fortunate commedie del grande autore francese, incentrata sulla figura di Arpagone, così follemente innamorato del denaro da trascurare gli affetti e rinunciare agli agi e ai piaceri, da lunedì 12 gennaio in tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC – nell’ambito del XXXV Circuito Teatrale Regionale Sardo, con lo slogan “Giù la Maschera!”.
Dopo il debutto – in prima regionale – lunedì 12 gennaio alle 21 al Cine Teatro Montiggia di Palau, dove inaugurerà la Stagione di Prosa 2014-15, “L’Avaro” approderà martedì 13 gennaio alle 21 al Teatro Tonio Dei di Lanusei, sempre in apertura di Stagione; la divertentissima pièce, ricca di equivoci e colpi di scena, inaugurerà anche – mercoledì 14 gennaio alle 21 – la Stagione di Prosa al Teatro Costantino di Macomer e infine giovedì 15 gennaio alle 21 aprirà il cartellone del CeDAC al Teatro Civico di Alghero.
L’avidità e la paura di perdere il proprio tesoro trasformano Arpagone in grottesca incarnazione di uno dei sette vizi capitali, capace di preferire – senza ritegno – i soldi ai suoi stessi figli, per i quali medita al più matrimoni d’interesse con cui incrementare il patrimonio familiare, senza curarsi dei loro desideri e delle loro inclinazioni mentre per sé, vedovo da tempo, punta a nuove improbabili nozze con tanto di (irrinunciabile) dote. In una giostra delle passioni, affiorano l’egoismo e la rivalità tra vecchi e giovani, le differenze sociali, l’amore sincero e la melensa adulazione: in un’acuta e arguta satira della società, Molière mostra virtù e debolezze di ciascuno, e soprattutto le stravaganze e gli eccessi di un uomo ridicolo, condannato alla solitudine.
Nel cast dello spettacolo (firmato Bon Voyage Produzioni e Civit’Arte 2013) per la regia di Claudio Di Palma, accanto a Lello Arena, Fabrizio Vona e Francesco Di Trio, e ancora Adriana Follieri, Chiara Degani, Eleonora Tiberia, Fabrizio Bordignon, Enzo Mirone; le musiche sono di Paolo Vivaldi, le scenografie di Luigi Ferrigno e i costumi di Maria Freitas.
COMUNICATO del 10.01.2015
Si apre il sipario su “L’Avaro” di Molière, nella mise en scene di Bon Voyage Produzioni e Civit’Arte 2013 per la regia di Claudio Di Palma, con un irresistibile Lello Arena nel ruolo del protagonista, Arpagone, maschera tragicomica che incarna uno dei sette vizi capitali: lo spettacolo debutterà nell’Isola – in prima regionale – lunedì 12 gennaio alle 21 al Cine Teatro Montiggia di Palau, dove inaugurerà la Stagione di Prosa 2014-15 del CeDAC.
La tournée proseguirà – sempre sotto le insegne del CeDAC, nell’ambito del XXXV Circuito Teatrale Regionale Sardo (che si fregia dello slogan “Giù la Maschera!” a sottolineare il potere svelante del teatro, e la sua capacità di mettere a nudo la verità) – l’indomani, martedì 13 gennaio alle 21 al Teatro Tonio Dei di Lanusei, sempre in apertura di Stagione; la divertentissima pièce, ricca di equivoci e colpi di scena, inaugurerà anche – mercoledì 14 gennaio alle 21 – la Stagione di Prosa al Teatro Costantino di Macomer e infine giovedì 15 gennaio alle 21 aprirà il cartellone del CeDAC al Teatro Civico di Alghero.
Capolavoro immortale, capace di cogliere le molteplici sfaccettature e la complessità dell’animo umano, i suoi lati oscuri e le intime contraddizioni, “L’Avaro” riprende il tema dell’“Aulularia” di Plauto, con l’idea ossessiva del denaro da custodire e proteggere, nascondendolo agli sguardi altrui, che trasforma il piacere del possesso in terrore della perdita, e induce al sospetto verso tutti, estranei ma anche parenti e servi, trasformati in potenziali ladri, o comunque dissipatori del patrimonio.
Il ricco Arpagone, pur di non intaccare e anzi per incrementare il suo prezioso tesoro, vive in ristrettezze, rinuncia al superfluo e anche al necessario e costringe i suoi familiari e la servitù a subire la sua estrema parsimonia, così accentuata che da virtù si trasforma nel suo contrario: né abiti eleganti né gioielli, né cibi raffinati, né svaghi di sorta son adatti a lui e ai suoi figli, per i quali invece pianifica matrimoni vantaggiosi (dal suo punto di vista), del tutto incurante dei loro desideri, delle loro inclinazioni, e dei loro sentimenti.
Il suo universo ruota intorno al denaro, amato come un figlio, e perfino con maggiore tenerezza di quella riservata ai due rampolli, il giovane ribelle e un po’ scapestrato, che mal sopporta il giogo e l’umiliazione di quella fittizia povertà e la fanciulla decisa a sfuggire all’autorità paterna in nome dell’amore e della libertà: i due sarebbero gli eredi designati di tanta fortuna, ma la prosperità futura resta un miraggio, e non dà alcun sollievo nel tempo presente. Il padre intanto, vedovo ormai da anni, vagheggia di risposarsi con una giovane e bella vicina, facendo leva sulla differenza di censo – lei è quasi povera – per annullare la differenza d’età: quasi un’implicita critica ai matrimoni d’interesse, con il classico tema da commedia del vecchio che si rende ridicolo a causa della sua passione per una donna più giovane, tanto più se come in questo caso il rivale in amore è proprio il figlio.
La temuta sparizione del tesoro alla fine avviene davvero e il mondo di Arpagone va in pezzi, “l’avaro” perde la sua ragione di vita: in un perfetto meccanismo comico la tragedia del derubato si sovrappone, in un gioco degli equivoci, a una domanda di matrimonio, e se il lieto fine non può mancare, secondo le regole della commedia, dopo il dolore e la follia per la perdita, la conclusione ha un gusto dolceamaro.
Sotto i riflettori, accanto a Lello Arena, che presta ad Arpagone la sua vis comica e la sua carica d’umanità, Fabrizio Vona e Francesco Di Trio, e ancora Adriana Follieri, Chiara Degani, Eleonora Tiberia, Fabrizio Bordignon, Enzo Mirone; le musiche sono di Paolo Vivaldi, le scenografie di Luigi Ferrigno e i costumi di Maria Freitas.
Il genio di Jean-Baptiste Poquelin – in arte Molière – trasforma Arpagone nel ritratto di un vizio, una malattia dell’anima: egli vive prigioniero della sua stessa passione per i soldi, trascura e dimentica gli affetti e i legami più sacri, dà ai suoi stessi figli il peggiore degli esempi, e vittima del proprio egoismo è incapace di vedere e ascoltare quel che avviene intorno, pretende di ridisegnare il mondo a propria immagine e somiglianza, secondo le sue priorità e necessità. Inevitabile la ribellione di chi nel pieno della giovinezza vede schiudersi davanti a sé le innumerevoli possibilità dell’esistenza, con tutta la gioia, l’amore, la libertà di sperimentare nuove emozioni e viene invece costretto a respirare, a agire e in teoria perfino a pensare secondo regole imposte da altri.
Il conflitto generazionale si accentua in una prospettiva capovolta: ai vecchi spetterebbe la saggezza, la morigeratezza, l’intento e l’impulso di guidare i giovani, attraverso i consigli e l’esempio, lasciando loro spazio; Arpagone, con il suo strenuo attaccamento alla materia oltre che alla vita, quasi a voler godere in vecchiaia di ciò che gli era o si era precluso, in una sorta di presunta seconda giovinezza con tanto di luna di miele e soprattutto di sposa disposta ad accudirlo nel declino inevitabile, priva il figlio ed erede di quel che gli spetterebbe di diritto e perfino, nelle intenzioni, della donna che ama. Il mito di Urano che divora i figli – e la simbolica uccisione del padre, come rito di passaggio all’età adulta, sembrano trovare qui, e in generale in questo topos della commedia, un archetipo che volge al ridicolo la pretesa di chi non sa e non vuol vivere in modo confacente alla sua età, e si attira le critiche e la riprovazione della società. Pur trasportata in un’altra epoca – e rappresentata davanti alla corte del Re Sole – resta immutata la dinamica del rapporto fra servi e padroni e soprattutto il ruolo fondamentale che i primi svolgono nel mandare avanti la storia, con la capacità di far succedere quello che i secondi possono solo auspicare.
Focus anche sulle differenze fra i sessi, e sulla condizione delle donne – costrette a sposarsi per emanciparsi dall’autorità paterna, e comunque sottoposte alla tutela maschile: la figlia di Arpagone non può sposare chi ama senza il consenso paterno e al contrario può essere obbligata a prender per marito qualcuno che piaccia al genitore più che a lei; e la futura sposa de “l’avaro” vien consigliata a scegliere il miglior partito ovvero a prendersi il padre invece del figlio per garantirsi una sicurezza economica che il giovane, tanto più se inviso al padre, non può offrirle.
CONTATTI: per l’Ufficio Stampa del CeDAC/ Sardegna:
Anna Brotzu – cell. 328.6923069 – cedac.uffstampa@gmail.com
INFO & PREZZI
PALAU
Abbonamento a 6 spettacoli:
intero euro 65 – ridotto euro 55
Biglietti:
intero €15 – ridotto €12
INFO: cell. 3317607446 – cedacpalau@tiscali.it
Fb: cedacpalau – www.cedacsardegna.it
LANUSEI
Abbonamento a 5 spettacoli:
Platea primi posti € 55 intero – € 50 ridotto
Platea secondi posti € 50 intero – € 40 ridotto
Galleria € 30
Biglietti:
Platea primi posti € 14 intero – € 12 ridotto
Platea secondi posti € 12 intero – € 9 ridotto
Galleria € 8
info: tel. 338.8727641
annarosapistis@yahoo.it
MACOMER
Abbonamento a 6 spettacoli:
Primi posti € 60 intero – € 55 ridotto
Secondi posti € 55 intero – € 50 ridotto
Biglietti:
Primi posti € 15 intero – € 13 ridotto
Secondi posti € 13 intero – € 10 ridotto
Studenti € 5
info: tel. 347.8777538 – Fb: Cedac teatro costantino
ALGHERO
Abbonamento a 8 spettacoli:
Platea intero € 90 – ridotto € 80
Palco intero € 80 – ridotto € 70
Biglietti:
Platea intero € 15 – ridotto € 13
Palco intero € 13 – ridotto € 10
Loggione € 7
info: tel. 349.4127271
iousaidaniela@tiscali.it
Bon Voyage Produzioni e Civit’Arte 2013
L’Avaro
di Jean-Baptiste Poquelin – in arte Molière
con Lello Arena
Fabrizio Vona e Francesco Di Trio
e con Adriana Follieri, Chiara Degani,
Eleonora Tiberia, Fabrizio Bordignon, Enzo Mirone
musiche Paolo Vivaldi
scenografie Luigi Ferrigno
costumi Maria Freitas
regia di Claudio Di Palma
Lo spettacolo
L’avaro, insieme a Tartufo, a Il malato immaginario, a Il borghese gentiluomo, è una delle più celebri commedie di Molière. Scritta nel 1668, è in prosa, e al debutto non ebbe un grandioso successo anche se oggi è dai più considera la migliore delle commedie di Molière. Di sicuro è una pièce straordinariamente completa e divertente e contiene tutti gli ingredienti, i motivi, gli intrecci, le scene farsesche, che rendono esilarante uno spettacolo comico. I motivi comici del teatro classico in fondo sono sempre gli stessi: il difetto maniacale del protagonista (in questo caso l’avarizia), la servitù birbantesca ed intrigante, gli amori contrastati dei giovani, la rivalità in amore tra i protagonisti (qui il padre ed il figlio), i malintesi, l’agnizione finale che risolve come un deus ex machina l’intrigo generale… In genere, su uno, su due di questi motivi, i grandi autori classici costruiscono le loro commedie: qui, invece, ci sono proprio tutti. Ma questa ridondanza di temi non appesantisce affatto la commedia: Molière è uomo di teatro troppo navigato per lasciarsi sopraffare da una piena di motivi. Come un perfetto direttore d’orchestra, Molière sa dosare equilibratamente i molti strumenti di cui dispone e ne deriva una commedia godibilissima e nient’affatto enfatica.
L’autore
Tra i più grandi commediografi di tutti i tempi, Molière (nome d’arte di Jean-Baptiste Poquelin) nacque a Parigi nel 1622 da un’agiata famiglia borghese. Per volontà del padre, artigiano e valletto del re, ricevette un’educazione umanistica di buon livello presso il Collegio gesuita di Clermont. Diventato avvocato, abbandonò presto la professione per dedicarsi interamente al teatro.
Forse introdotto all’arte teatrale da una giovane attrice, Madeleine Béjart, fondò nel 1643 l’Illustre Théâtre, una compagnia con una decina di attori. Abbandonata Parigi per difficoltà finanziarie, la coppia si inserì in una compagnia di provincia, della quale Molière divenne autore e capocomico.
Nel 1658 la compagnia tornò a Parigi, dove ottenne la protezione del fratello del re, Monsieur, da cui la nuova denominazione di Troupe de Monsieur. Invitata a corte, la Troupe rappresentò alla presenza di Luigi XIV il Nicomede di Corneille, seguito da una farsa di Molière intitolata Il dottore innamorato. L’anno seguente e quello dopo, nella sala del Petit-Bourbon, andarono in scena le commedie Le preziose ridicole e Sganarello o il cornuto immaginario, entrambe coronate da successo. Nel 1661 la compagnia, ormai affermata, ottenne come sede il teatro del PalaisRoyal; seguirono anni di successi – non senza polemiche, come nel caso del Tartufo – in cui Molière scrisse testi immortali come La scuola delle mogli, e La critica alla scuola delle mogli, L’improvvisazione di Versailles e La principessa d’Elide, e soprattutto Il Tartufo, Don Giovanni o il convitato di pietra, Il misantropo, Anfitrione, George Dandin o il marito confuso, L’avaro, Il borghese gentiluomo, Le furberie di Scapino, Le intellettuali, e Il malato immaginario.
Colto da malore durante le recite del Malato immaginario, Molère morì dopo poche ore, nel 1673.
Note al testo
Quando ci si appresta a preparare l’ ennesimo allestimento di una commedia classica è sempre lecito porsi una domanda: Quale perdurante valore consente ad alcune scritture teatrali di attraversare i tempi incontrando e provocando in modo continuo e sempre nuovo l’interesse di pubblico ed artisti? Nel caso specifico de L’avaro di Moliere ci si chiede anche cosa permetta all’ aridità spirituale e materiale di Arpagone di essere ancora oggi tanto leggibile e fruibile; cosa le abbia consentito di attraversare con imperturbabile credibilità quelle trasformazioni radicali che in circa tre secoli hanno caratterizzato la vita pubblica e privata degli uomini. E’ certo che l’artificio drammaturgico molieriano sia informato di caratteri espressivi dalla efficacia oggettiva e che questo rappresenti un motivo fondante e sufficiente che giustifica le riproposizioni.
Esiste, però, un altro valore altrettanto incontrovertibile che fa da contrappunto alla meticolosa tecnica di punteggiatura teatrale di Molière. E’ quello evidenziato e rappresentato da un mondo intimamente corrotto di straordinaria e persistente contemporaneità che si articola intorno al vizio capitale dell’avarizia. Un mondo che Molière anima di complottismi, di ipocrisie, di opportunismi, di raggiri, di arrivismi, e che abita di fingitori, spreconi, faccendieri, mediatrici, sensali di fronte ai quali l’avaro Arpagone si erge quasi come figura consapevole e sinceramente reo-confessa, pervasa, in fondo, da una profonda onestà intellettuale. Lui è naturalmente complementare a tutti gli altri, il suo vizio lo conduce ad una solitudine apparentemente compiaciuta e strafottente, ma che lo costringe a perdere poi quasi più di quanto abbia cercato di trattenere. E’ incapace di donare il suo tempo e se stesso, valuterebbe il dono come una perdita e la perdita è spreco e lui è un economo conservatore, non può sprecare. E’ un posseduto dal denaro, accumula ma non usa, diffida, sospetta, accusa, impone, capitola e subdolamente si riabilita, la sua insana fragilità lo destina al drammatico succedersi di buffo e tragico.
Una ritmica recitativa incalzante, mira all’esasperazione del vertiginoso virtuosismo teatrale del testo, la ricerca di una riproducibilità di passioni vere, ancorché viziate, tende a conferire caratteri di ulteriore credibilità agli stilemi dialogici dell’epoca, la individuazione di uno spazio irreale dove abbia ragione e luogo la storia ne segnala la temporalità. I personaggi sembrano addirittura attraversare le epoche (come se la tela si aprisse nel ‘600 e calasse sul 2000) in una successione di stili che si snoda nell’immutabilità della trama originaria. Intorno un perimetro, quasi museale, di teche che custodiscono una nutrita e cangiante collezione di sedie (il collezionismo come altra declinazione dell’avarizia: ossessione del possedere?). Sedie di epoche diverse in cui è possibile leggere il segno del potere, ma anche quello dell’assestamento e, conseguentemente, dell’impigrimento e della devitalizzazione. Simbolo e segno, insomma, di quella depressione dissimulata di Arpagone che gioca, combatte e si dimena con indomito furore e spaesata dabbenaggine contro le maschere della borghesia e contro i fantasmi della propria psiche.