Archivio stagione 2014/2015
“Novantadue/ Falcone e Borsellino 20 anni dopo” di Claudio Fava – da mercoledì 18 a domenica 22 marzo al Teatro Massimo di Cagliari (lunedì 23 marzo matinée per le scuole)
CeDAC
La Grande Prosa al Teatro Massimo
stagione 2014-15 – GIU’ LA MASCHERA!
BAM Teatro
NOVANTADUE
Falcone e Borsellino, 20 anni dopo
di Claudio Fava
CAGLIARI/ Teatro Massimo
18 > 22 marzo 2015
mercoledì 18 marzo – ore 20.30 – turno A
giovedì 19 marzo – ore 16.30 – turno P
giovedì 19 marzo – ore 20.30 – turno B
venerdì 20 marzo – ore 20.30 – turno C
sabato 21 marzo – ore 20.30 – turno D
domenica 22 marzo – ore 19.00 – turno E
*** lunedì 23 marzo – ore 11.00 – recita straordinaria per le scuole***
INCONTRO CON GLI ARTISTI: per Oltre la Scena/ gli attori raccontano… Filippo Dini, Giovanni Moschella e Fabrizio Ferracane – insieme all’autore, il giornalista e scrittore Claudio Fava e giornalista Anthony Muroni (direttore de “L’Unione Sarda”) – incontreranno il pubblico venerdì 20 marzo alle 17.30 al Cinema Odissea di viale Trieste 84 a Cagliari – INGRESSO LIBERO
SCHERMI E SIPARI: lunedì 16 marzo alle 17 e domenica 22 marzo alle 11 al Cinema Odissea in viale Trieste 84 a Cagliari si proietta il film “Giovanni Falcone” di Giuseppe Ferrara.
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Debutta in prima regionale mercoledì 18 marzo alle 20.30 al Teatro Massimo di Cagliari “Novantadue/ Falcone e Borsellino 20 anni dopo”, firmato dal giornalista Claudio Fava, che mette l’accento su pagine cruciali della storia recente dell’Italia: lo spettacolo diretto da Marcello Cotugno (produzione BAM Teatro) sarà in cartellone (da mercoledì 18) fino a domenica 22 marzo – con una recita straordinaria lunedì 23 marzo alle 11 in matinée per le scuole – per la stagione 2014-15 de La Grande Prosa al Teatro Massimo firmata CeDAC (gli orari: da mercoledì a sabato alle 20.30, la domenica alle 19 e giovedì anche la pomeridiana alle 16.30; e lunedì 23 marzo alle 11 la recita straordinaria dedicata agli studenti).
Nel cast: Filippo Dini, Giovanni Moschella e Fabrizio Ferracane – per una ricostruzione lucida e appassionata della lotta tra Stato e mafia, con un ritratto vivido e per nulla agiografico di due magistrati in prima linea contro la criminalità organizzata.
La pièce racconta il soggiorno su L’Isola de L’Asinara di Falcone e Borsellino nei giorni in cui fu istruito il maxiprocesso contro Cosa Nostra e in un lungo flashback mostra il volto spietato dell’organizzazione criminale, svelando una realtà complessa da cui emergono impensabili intrecci fra mafia e politica, e perfino luci e ombre all’interno dei palazzi di giustizia.
OLTRE LA SCENA/ incontro con gli artisti: L’autore – Claudio Fava, giornalista, sceneggiatore e scrittore nonché deputato parteciperà – insieme ai tre interpreti ( Filippo Dini, Giovanni Moschella e Fabrizio Ferracane) – all’incontro in programma venerdì 20 marzo alle 17.30 al Cinema Odissea di viale Trieste 84 a Cagliari – per il ciclo Oltre la Scena/ gli attori raccontano… – coordinerà il giornalista Anthony Muroni (direttore del quotidiano “L’Unione Sarda”).
SCHERMI & SIPARI: Intrecci e confronti fra teatro e cinema: per la rassegna Schermi e Sipari al Cinema Odissea di Cagliari lunedì 16 marzo alle 17 e domenica 22 marzo alle 11 si proietta “Giovanni Falcone” di Giuseppe Ferrara – con Michele Placido nel ruolo del protagonista e Giancarlo Giannini in quello di Paolo Borsellino: focus sugli ultimi anni di attività del giudice siciliano, la lotta contro la mafia e la “stagione dei veleni” fino al tragico epilogo della strage di Capaci.
COMUNICATO del 14.03.2015
Sulle tracce della Storia – alla ricerca della verità – con “Novantadue/ Falcone e Borsellino 20 anni dopo” – in cartellone da mercoledì 18 marzo fino a domenica 22 marzo (con una recita straordinaria lunedì 23 marzo in matinée per le scuole) al Teatro Massimo di Cagliari per la stagione de “La Grande Prosa al Teatro Massimo” organizzata dal CeDAC, con lo slogan pirandelliano “Giù la Maschera!”. La pièce originale, firmata dal giornalista, sceneggiatore e scrittore Claudio Fava (deputato di SEL, ora con il Gruppo Misto, e vicepresidente della commissione antimafia) racconta l’ultima notte sull’Isola de L’Asinara dei due magistrati impegnati nell’istruzione del maxiprocesso che avrebbe di lì a poco segnato una svolta cruciale nella lotta contro la criminalità organizzata.
“Novantadue” – titolo emblematico che rimanda all’inizio della “stagione delle stragi” – debutterà in prima regionale mercoledì 18 marzo alle 20.30 sul palcoscenico cagliaritano (repliche tutti i giorni da mercoledì a sabato alle 20.30 – turni A, B, C e D, la domenica alle 19 – turno E, e il giovedì doppio spettacolo, con anche la recita pomeridiana alle 16.30 per il turno P ; infine lunedì 23 marzo alle 11 – a grande richiesta – la recita straordinaria per gli studenti).
Riflettori puntati su Filippo Dini, già coprotagonista a fianco di Luca Barbareschi ne “Il discorso del re” (nonché Premio Le Maschere del Teatro come miglior attore non protagonista per “Romeo e Giulietta” e Premio Hystrio ANCT 2014) e Giovanni Moschella, attore dalla spiccata vocazione teatrale, dagli esordi con Arnoldo Foà ne “La corda a tre capi”, alle collaborazioni con Anna Maria Guarnieri, Pamela Villoresi, Walter Manfrè, Enzo Vetrano e Salvatore Randisi (come il recente “L’onorevole” di Leonardo Sciascia) – con incursioni sul grande e il piccolo schermo– nei ruoli rispettivamente di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E l’eclettico Fabrizio Ferracane (dagli studi con Mimmo Cuticchio e Marco Martinelli, all‘“Amleto” di Giuliano Vasilicò e l’“Amadeus” di Peter Shaffer, poi interprete de “Credo – l’innocenza di Dio” con Giancarlo Giannini e co-autore del fortunato “Sutta Scupa”) si sdoppia nel ruolo di un magistrato e di un mafioso non pentito.
“Novantadue/ Falcone e Borsellino 20 anni dopo” – produzione originale di BAM Teatro, per la regia di Marcello Cotugno (che ha ideato anche l’impianto scenico) – ripercorre quelle fatidiche ore prima dell’alba in cui i due magistrati, mentre completano la stesura degli atti d’accusa in vista dello storico e fondamentale processo contro “Cosa Nostra”, dialogano e si confrontano, tra aspettative e progetti futuri e presagi di morte. Uomini di legge – al servizio dello Stato – coinvolti loro malgrado in una vera e propria guerra fra le istituzioni e quella vasta e fino ad allora in gran parte misteriosa organizzazione criminale, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono anche, e forse prima di tutto colleghi, uniti da reciproca stima e fiducia, e amici.
Quel maxiprocesso celebrato nell’aula bunker costituirà una pietra miliare nelle cronache di una pluridecennale – e forse plurisecolare – contrapposizione fra poteri: stato e antistato si fronteggiano in un Sud vinto ma non sconfitto, troppo spesso sacrificato in nome delle logiche di un governo centrale remoto e disattento davanti alle istanze della complessa e stratificata società meridionale. L’omertà – dettata dalla paura, dall’abitudine al silenzio e alla sottomissione – è la chiave che ha permesso a “Cosa Nostra” (un autentico contropotere di matrice locale, capace da sempre di porsi come interlocutore privilegiato in grado di garantire tranquillità e ordine per le diverse entità politiche) di rafforzare il controllo del territorio e creare le fitte maglie di una vera e propria organizzazione criminale, in grado di drenare risorse, gestire appalti e accumulare profitti.
Un fenomeno tutt’altro che semplice, riconducibile ad una pluralità di fattori – storici e culturali, ma anche sociali ed economici: difficile tracciare un confine netto tra la mafia e la società civile, tra gli interessi di una classe di governo talvolta collusa, o forse solo influenzata e ispirata dagli “uomini d’onore” e il cosiddetto bene comune in un Sud martoriato; più semplice forse distinguere, alla luce del diritto, la differenza tra lecito e illecito, prima ancora che quella tra il bene il male.
Se il silenzio è la virtù necessaria – a costo della vita, davanti alla minaccia di efferate vendette – l’efficacia delle indagini, e le rivelazioni dei primi pentiti rischiano di scardinare un sistema che pareva impenetrabile, mettendo in evidenza le debolezze e la fragilità, oltre la maschera feroce della violenza, di una “onorata società” il cui rigoroso e arcaico codice etico si scontra inevitabilmente con la sete di potere, e l’arroganza dei singoli. I giuramenti e i riti d’iniziazione, le condanne e le punizioni esemplari, il fascino perverso dell’organizzazione mafiosa – e delle sue varianti – con quella struttura verticistica intuibile nella sua articolata vastità, ma difficile da provare nelle aule di un tribunale (celebre l’affermare che “la mafia non esiste”) diventano, grazie al lavoro investigativo al di qua e al di là dell’Oceano, oggetto di puntuali ricostruzioni, con tanto di nomi dei capi e dei boss, e l’identificazione di mandanti ed esecutori dei vari delitti.
La creazione del pool antimafia offrì nuovo incentivo alle indagini, che sarebbero sfociate nel maxiprocesso di Palermo (1986-1987) con 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere; appena due anni dopo nel 1988 con lo scioglimento del pool e le tensioni interne alla magistratura iniziò una nuova fase, per certi versi ancora più drammatica: la triste stagione dei veleni.
Nel 1992 le stragi di Capaci (con l’uccisione di Giovanni Falcone e della moglie Francesca Morvillo, insieme alla scorta) e di via D’Amelio (con l’assassinio di Paolo Borsellino) parvero chiudere in modo amaro e tragico un capitolo fondamentale della storia della Giustizia in Italia.
“Novantadue/ Falcone e Borsellino 20 anni dopo” coglie quell’istante fatidico in cui la parabola della mafia sembrava destinata ad interrompersi – grazie alle indagini, al lavoro e all’impegno di magistrati e forze dell’ordine: davanti alle montagne di documenti contenenti le prove contro “Cosa Nostra”, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino s’interrogano sul presente e sul futuro dell’Italia.
In un tempo sospeso – tra cronaca e sogno – due icone della giustizia, eroi loro malgrado in una guerra spietata, ritornano ad essere uomini, davanti al peso di una responsabilità, con la coscienza del proprio dovere e la quasi certezza di una condanna da parte di un nemico temibile e infido: nello spettacolo i due magistrati possiedono, per la magia del teatro, anche la consapevolezza del tempo che verrà, di ciò che accadrà dopo la loro prematura uscita di scena, e di un’eredità pesante ma incancellabile fatta di dedizione, coraggio e onestà intellettuale.
Tra i loro interlocutori anche le figure ambigue di un “uomo d’onore” – non uno dei boss, ma un semplice rappresentante di quell’esercito violento e oscuro capace di ricorrere ad ogni mezzo per contrastare la giustizia – e un ambiguo alleato, un magistrato coinvolto più del lecito in quella strana guerra tra Stato e mafia, tra delazioni e occultamento di prove, in un singolare gioco tra luci ed ombre, sussurri e grida che ancora riecheggiano nei corridoi dei palazzi di giustizia.
OLTRE LA SCENA/ incontro con gli artisti: L’autore – Claudio Fava, giornalista, sceneggiatore e scrittore nonché deputato parteciperà – insieme ai tre interpreti ( Filippo Dini, Giovanni Moschella e Fabrizio Ferracane) – all’incontro in programma venerdì 20 marzo alle 17.30 al Cinema Odissea di viale Trieste 84 a Cagliari – per il ciclo Oltre la Scena/ gli attori raccontano… – coordinerà il giornalista Anthony Muroni (direttore del quotidiano “L’Unione Sarda”).
SCHERMI & SIPARI: Intrecci e confronti fra teatro e cinema: per la rassegna Schermi e Sipari al Cinema Odissea di Cagliari lunedì 16 marzo alle 17 e domenica 22 marzo alle 11 si proietta “Giovanni Falcone” di Giuseppe Ferrara – con Michele Placido nel ruolo del protagonista e Giancarlo Giannini in quello di Paolo Borsellino: focus sugli ultimi anni di attività del giudice siciliano, la lotta contro la mafia e la “stagione dei veleni” fino al tragico epilogo della strage di Capaci.
per l’Ufficio Stampa del CeDAC/ Sardegna:
Anna Brotzu – cell. 328.6923069
cedac.uffstampa@gmail.com
INFO & PREZZI
CeDAC/ La Grande Prosa al Teatro Massimo
biglietti
primo settore: intero € 32 – ridotto € 25
secondo settore: intero € 27 – ridotto € 20
loggione: intero € 15 – ridotto € 10
biglietti pomeridiana
intero € 16 – ridotto € 12
Info e prenotazioni. Biglietteria del Teatro Massimo di Cagliari (ingresso in via De Magistris 12)
tel. +39 345.4894565 – biglietteria@cedacsardegna.it
info: cedac@cedacsardegna.it – www.cedacsardegna.it
***** per la recita straordinaria (lunedì 23 – matinée per le scuole):
teatroscuole@cedacsardegna.it – cell. 345.4854565
SCHERMI E SIPARI
biglietto 4 euro
info e prenotazioni: tel. 070 271709 – email: spaziodissea@gmail.com | info@cinemaodissea.it
BAM Teatro
NOVANTADUE
Falcone e Borsellino, 20 anni dopo
di Claudio Fava
con Filippo Dini – Giovanni Moschella – Fabrizio Ferracane
allestimento e regia Marcello Cotugno
in collaborazione con XXXVII Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano
e Festival L’Opera Galleggiante
Lo spettacolo – Premessa
Il 1992 fu un anno denso di avvenimenti, dalla firma del trattato di Maastricht, alla chiusura del giornale Pravda, l’organo di stampa del partito comunista nell’Unione Sovietica, dall’assedio di Sarajevo da parte delle truppe serbo-bosniache all’elezione del democratico Bill Clinton a Presidente degli Stati Uniti di America, fino alla riabilitazione da parte della Chiesa Cattolica della figura di Galileo Galilei.
Eppure fu un anno oscuro e orribile della storia italiana.
Era cominciato proprio con la pronuncia da parte della Cassazione, della sentenza storica e definitiva di condanna che chiuse di fatto il Maxi-processo, il più grande processo penale mai celebrato al mondo: quattrocentosettantaquattro imputati, trentacinque giorni di camera di consiglio, la ricostruzione di venti anni di crimini, violenze e corruzioni, un’aula bunker costruita appositamente con quattromila tonnellate di cemento armato accanto al vecchio carcere palermitano dell’Ucciardone: di forma ottogonale e dimensioni adatte ad accogliere centinaia di persone, dotata di sistemi di protezione elevatissimi, tali da poter resistere anche ad un attacco missilistico e di un sistema computerizzato di archiviazione degli atti, senza il quale un processo di tali proporzioni non sarebbe stato neppure lontanamente possibile.
La sentenza finale della Corte di Cassazione, emessa nel gennaio 1992, sembrò quasi «una pietra di tomba sulla mafia» che intanto, invece, si era rimessa in salute.
Nuovi comandamenti, nuovi comandanti- i Corleonesi- a sovvertire con una violenza inaudita i vecchi ideali e codici della “onorata società”. Di loro si diceva che erano abituati alla guerra da quando erano bambini e che «come quelli che nascevano una volta a Sparta, non avevano pace fino a quando i nemici erano diventati tutti concime per la terra». Così, mentre si segnava la fine della cosidetta Prima Repubblica con i processi “mediatici” di Tangentopoli che coinvolsero principalmente i tribunali milanesi, i due magistrati simbolo della lotta alla mafia, i cervelli del primo grande processo a Cosa Nostra, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, saltarono in aria con chili e chili di tritolo.
Da allora, si cerca affannosamente una verità.
C’è una curiosa regola di rinnovamento alla ciclicità della storia della Repubblica italiana che il costituzionalista Michele Ainis, chiama la “sindrome del ventennio”. Ne sembriamo come patologicamente affetti. Non a caso, vent’anni dopo eccoci a raccontare fuori dalla cronaca, lontano dalla commiserazione, la forza di quegli uomini, la loro umanità, il rigore dei pensieri, il loro senso profondo dello Stato e la solitudine a cui furono condannati. Eccoci a parlare di nuovo di Falcone e Borsellino e quasi senza volerlo, ad allargare la riflessione nel momento in cui, venti anni dopo quelle stragi, si riapre prepotentemente il filone di inchiesta della trattativa tra Stato e Mafia, che non sembra risparmiare neppure le più alte cariche dello Stato. Sullo sfondo, la nostra Italia che in vent’anni, a ben guardare, considerando proiezioni e strane simmetrie, sembra uguale ad allora…
Il nostro racconto comincia nell’estate 1985, all’Asinara, nel carcere di massima sicurezza dove Falcone e Borsellino vennero spediti nottetempo per ordine del giudice Caponnetto, dopo l’omicidio del capo della squadra mobile di Palermo Ninni Cassarà, proprio per completare l’istruttoria del Maxi Processo. Si procede per fatti salienti, noti e meno noti, come per le stazioni di una via crucis. Il testo punta ad una sensibilizzazione necessaria: troppo spesso, come già ricordava Borsellino, si crede che una mafia che non spara è una mafia che non colpisce più.
Note dell’autore
Una scrivania sulla scena nuda. Due uomini che lavorano, chini sui loro fogli. Scrivono con la fretta di chi sa che quella è la loro ultima notte prima di lasciare l’isola nella quale si sono ritirati a preparare l’atto d’accusa per il primo grande processo alla mafia. Sono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e il carcere dell’Asinara è il loro esilio volontario – lontano da sguardi, domande, minacce – per concludere il lavoro di una vita. Ma è anche una notte di verità necessarie tra due uomini, due amici che condividono lo stesso desiderio di vita e l’identico presagio di morte. Una notte in cui dirsi le cose a lungo taciute, confessarsi rabbie, allegrie, paure. Anche la paura di morire, perché no?, sapendo che fuori da quella prigione, da quell’isola, li aspetta una guerra che non hanno cercato ma che ormai li reclama.
La scena si dilata, il nostro sguardo precipita verso altri tempi, incontra una ad una le cose che sono poi accadute. Ma stavolta senza più accontentarsi della verità facile che ci hanno servito: da una parte gli eroi, i servitori dello stato, il bene; dall’altra gli assassini, i macellai della mafia, il male. E in mezzo, niente.
Dopo vent’anni quella terra di mezzo va riempita con il racconto dei peccati innominabili: le omissioni, le complicità, i silenzi, le viltà… Adesso sappiamo che tra quei due giudici ammazzati e la follia omicida di Cosa Nostra si sono mossi pezzi delle istituzioni, uomini dei servizi, ufficiali dei corpi speciali, ministri guardasigilli, funzionari pubblici e depistatori di professione. Adesso sappiamo che Falcone e Borsellino dovevano morire non solo per volontà dei Corleonesi ma anche per scelta di una parte di quello Stato che i due magistrati credevano di rappresentare e di tutelare.
In un tribunale la storia si scrive con i processi.
A teatro, cercando le parole per dire e per immaginare. Partendo proprio da loro, Falcone e Borsellino: non più ingessati nel ricordo ma di nuovo tra noi, in un tempo presente.
Condannati a vivere, i due giudici ripensano alle cose accadute, ascoltano le vite degli altri, osservano questi vent’anni di cose torbide, di frasi lasciate a metà, di trattative e di baratti… E intanto mettono in scena la loro allegria e la loro agonia, la voglia di vivere e l’attesa della fine.
Con loro, sul palcoscenico, non ci sarà un boss di Cosa Nostra ma un mafioso qualsiasi, uno di quelli che erano chiamati a obbedire e a tacere. Al nostro personaggio era toccato in sorte il compito di ammazzare uno dei due giudici: non lo ha fatto e a quella sua vittima risparmiata vuole raccontare che lui non è pentito ma solo deluso. O forse semplicemente annoiato dalle nostre liturgie, dalle messe cantate, dalle mezze verità di un paese che dimentica i vivi per celebrare solo i morti.
C’è poi un giudice, il Consigliere Istruttore, un collega di Falcone e Borsellino. Uno di quelli chiamati a mettersi di traverso in nome di un sentimento opaco e prudente della giustizia. Quel Consigliere è il segno di uno Stato malato, di una nazione civile che ha perduto se stessa e per la quale Borsellino e Falcone, così singolari nella loro normalità, sono solo un’anomalia, un errore di stampa. Sa di mentire, il Consigliere, ma pensa che sia giusto farlo perché il potere, quello vero, si misura anche con la capacità di simulare, di trovare intese con chiunque, di mettersi al di sopra di ogni morale. Ecco perché il nostro giudice è un personaggio che non si pente, che non nega ma al contrario rivendica, argomenta, spiega, giustifica. E prova a convincere anche loro, Falcone e Borsellino, che sarebbe meglio se mettessero da parte questa pretesa ottusa di sapere come sono andate veramente le cose, chi ha fatto cosa e perché.
Attorno si percepisce un paese pigro e perbene, educato a recitare ave marie in memoria dei propri eroi. E adesso che vengono allo scoperto le storie marce di quell’estate del ‘Novantadue, il paese non ci sta: siamo cresciuti pensando che tutte le cose accadute fossero dolorose ma limpide, semplici come in un film. E che a noi toccava solo battere le mani alla fine della proiezione. Così non era.
In fondo non sono più Falcone né Borsellino l’architrave di questo racconto teatrale. Anche loro sono un pretesto per misurarci con il vero oggetto del conflitto: che è la verità. O meglio, le molte idee di verità. Da una parte la verità nuda, assoluta, senza aggettivi; dall’altra una verità ufficiale, parziale, obbediente… Quale delle due prevarrà alla fine? E chi recita davvero: il morto che fa l’eroe, l’antimafioso che ne piange la memoria o l’uomo di potere che rivendica il diritto a mentire? Chi di loro finge davvero? Questo, ovviamente, lo deciderà lo spettatore.
Claudio Fava
Note di regia
“Novantadue” è una moderna tragedia classica. Suo malgrado.
La modernità è nei fatti, nel titolo che scandisce la nostra ridottissima distanza (solo temporale, perché nei fatti c’è già un universo a separarci) dalla storia che mette in scena.
La sua classicità è nella dimensione epica, consapevolmente eroica, dei suoi protagonisti: sarebbero piaciuti a Sofocle, Falcone e Borsellino.
Lo si potrebbe peraltro credere un testo di denuncia: Novantadue – o meglio, il 1992 – è stato un anno orribile della nostra storia, iniziato peraltro con la pronuncia da parte della Cassazione della sentenza storica e definitiva di condanna che chiuse di fatto il Maxi-processo.
Invece, Novantadue è sorprendentemente il racconto di una doppia solitudine.
Che si staglia sullo sfondo di una fase epocale della nostra storia repubblicana, ma sempre solitudine umana resta.
E’ il racconto di due uomini abbandonati da quello Stato che hanno giurato di servire. Due volti che in “Novantadue” tornano persone, dopo essere stati trasformati in icone.
Oggi li troviamo fotografati e riprodotti dappertutto, dalle aule di tribunali agli interni delle macellerie.
Fino al paradosso: una loro foto compare persino in quel circolo Arci di Paderno Duniano dove il 31 ottobre del 2009 i boss delle ‘ndrine si riunirono per eleggere il nuovo capo della ‘ndrangheta lombarda.
Ma erano – e non dobbiamo dimenticarlo – uomini, che lo Stato ha lasciato soli, a consumarsi ed immolarsi in una tragedia assolutamente annunciata.
E fuori dalla retorica celebrativa che si è affannata a piangerne l’eroico sacrificio, di loro non si è forse mai veramente parlato. Della loro umanità, delle loro passioni, delle loro piccole ostinazioni. Delle paure con cui hanno convissuto fino all’ultimo, del rigore dei loro pensieri, di quel senso dello Stato altissimo, non negoziabile, con cui ogni giorno servivano il Paese. Delle loro ore insonni o dei 200 e più caffè consumati (e messi in conto) durante il soggiorno di sicurezza al carcere dell’Asinara, quando erano “reclusamente” intenti a preparare il Maxi-processo.
Una storia del genere non si può raccontare con la retorica.
Per questo il nostro spettacolo trova la sua cifra estetica nell’essenzialità, funzionale a uno scavo profondo nell’intimità di due esseri umani.
In un’epoca in cui anche i teatranti sono asserviti alla confezione di un packaging vendibile e accattivante del loro lavoro, la nostra scelta creativa sta invece nel tentativo di comunicare una verità nuda, lontana dal tempo degli accadimenti e dalla cronaca.
A innescare sulla scena il contraddittorio narrativo con Falcone e Borsellino, altri due personaggi: un collega magistrato e un mafioso comune. Il primo è il nemico che si cela dentro casa, è la zona grigia, è il terreno della contraddizione, dove crolla ogni rassicurante steccato tra il bene e il male. Il secondo è un mafioso piccolo piccolo, uno che abbassa la testa e esegue gli ordini, ma che si è rifiutato di eseguirne uno: uccidere Paolo Borsellino.
Tutti i codici che circondano la recitazione degli attori sono dismessi: luci scarne e scenografia minimale ricordano un teatro povero, di ispirazione kantoriana. Ed ecco che bastano pochi elementi (come già nelle intenzioni dell’autore) – un tavolo, delle sedie – per mettere in scena la tragedia di due uomini comuni, chiamati dalla propria indole testarda a una missione straordinaria quanto impossibile: ripulire la Sicilia (e l’Italia) dalla mafia. Pochi altri segni – le papere di legno collezionate da Giovanni Falcone, le sigarette ossessivamente consumate da Paolo Borsellino – ricostruiscono per accenni l’universo e la gestualità dei due personaggi.
Tutto, anche la musica (le note sussurrate di Nils Frahm, gli archi implacabili di Olafur Arnalds, le elaborazioni post neo-melodiche di Hugo Race e del suo The Merola Matrix, le canzonette pop che vengono dalla radio), più che fare che da commento all’azione scenica, servirà da veicolo emozionale per attingere alla solitudine di ciascuno di noi, ai momenti di abbandono che anche noi abbiamo vissuto, al senso di impotenza che anche noi abbiamo patito.
Ai sentimenti di rabbia, paura, sconforto, entusiasmo, che appartengono a tutti.
E che rendono umani anche gli eroi.
Così erano Falcone e Borsellino.
Così siamo tutti noi davanti alla menzogna di Stato che li ha uccisi. che continua ogni giorno a contaminare le nostre vite. E ad appannare la nostra vista.
Marcello Cotugno
Claudio Fava (Catania, 1957), giornalista e scrittore.
Nel 1984, dopo l’uccisione del padre, il giornalista Giuseppe Fava, ha continuato la sua opera assumendo la direzione de “I Siciliani” e raccogliendo, assieme a tutti gli altri giovani compagni della redazione, il testimone di una battaglia che ha saputo fare di questa rivista un laboratorio di nuova cultura della legalità e dell’impegno antimafioso.
Corrispondente in America Latina alla fine degli anni Ottanta, inviato speciale per molti giornali su numerosi fronti di pace e di guerra, Fava ha sempre incrociato l’attività professionale con l’impegno politico e la lotta alla cultura mafiosa. Parlamentare nazionale ed europeo.
Nel 2009 L’Economist attraverso il suo settimanale “European Voice” lo ha eletto eurodeputato dell’anno per il lavoro svolto come relatore nella Commissione di Inchiesta del Parlamento Europeo sull “extraordinary renditions” della CIA nella lotta al terrorismo internazionale.
Autore di numerosi libri e romanzi, Fava scrive anche per il teatro, la tv e per il cinema.
Assieme a Monica Zapelli e Marco Tullio Giordana, è autore della sceneggiatura de “I cento passi” premiata con il Leone d’Oro al festival di Venezia, con il Davide di Donatello e con il Nastro d’Argento.
Gli interpreti
Filippo Dini (Genova, 1973) Diplomatosi alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova, fonda nel 1998 con i compagni di corso Andrea di Casa, Sergio Grossini, Fausto Paradivino e Giampiero Rappa la compagnia Gloriababbi Teatro. Carriera ricca di incontri la sua: da Cecchi a Binasco, da Barberio Corsetti a Fortunato Cerlino, da Zavatteri a Tonino Conte, da Paravidino a Rappa.
E’ stato indiscusso coprotagonista de “Il discorso del re” di David Saidler nel ruolo di Giorgio VI di Inghilterra, Duca di York – a fianco (e per la regia) di Luca Barbareschi (il logopedista Lionel Logue).
Tra i riconoscimenti più importanti, quello come miglior attore non protagonista per “Le maschere del Teatro” per la sua interpretazione di Padre Lorenzo, nel Romeo e Giulietta di Valerio Binasco e nel 2014 il Premio Hystrio ANCT assegnato dalla Associazione Nazionale Critici teatrali, con una bellissima motivazione che sottolinea una vita di scelte artistiche coraggiose e misurate.
Da anni affianca l’intensa attività di attore con quella di regista.
Giovanni Moschella debutta a teatro ne “La corda a tre capi” per la regia di Arnoldo Foà. Seguono importanti interpretazioni e tantissime collaborazioni artistiche, con registi ed interpreti della scena italiana: Anna Maria Guarnieri, Pamela Villoresi, Mascia Musy, Walter Manfrè, Ninni Bruschetta Saverio Marconi, Enzo Vetrano e Salvatore Randisi, con cui collabora in molte produzioni ed anche recentemente ne “L’onorevole” di Leonardo Sciascia.
Tante le partecipazioni in TV e cinema dove è stato diretto, tra gli altri, da Francesco Calogero, Emidio Greco, Donatella Maiorca e più recentemente da Mario Martone, ne “Il giovane favoloso” con protagonista Elio Germano.
Fabrizio Ferracane nasce a Mazara del Vallo ma vive a Castelvetrano tutto il periodo degli studi scolastici. Dopo gli studi liceali frequenta la Scuola di Teatro Teatès diretta da Michele Perriera a Palermo, per poi trasferirsi a Roma dove inizia una serie di studi teatrali e laboratori con vari registi. Lavora con Mimmo Cuticchio a Santarcangelo dei Teatri, con Marco Martinelli del Teatro delle Albe e segue per un paio di anni Giuliano Vasilicò con degli studi sull'”Amleto” di Shakespeare, che viene messo in scena al Teatro Politecnico di Roma, e sull'”Amadeus” di Peter Shaffer. Lavora anche al cinema e lo fa con Giuseppe Tornatore in Malena. Intanto continua a studiare con PierPaolo Sepe, Emma Dante, Danio Manfredini, Massimiliano Civica.
Lavora con Giancarlo Giannini in Credo- l’innocenza di Dio uno spettacolo teatrale multimediale e musicale diretto dal maestro Andrea Molino per il 5° Summit dei Premi Nobel per la Pace. Dirige e scrive con Giuseppe Massa “Sutta Scupa” presentato per la rassegna “Da dentro a fuori” nell’Ex carcere delle Benedettine di Palermo, al Rialto a Roma, all’Elicantropo di Napoli, al Festival di Strasburgo, alle Colline Torinesi ed ad oggi in tourneè. E’ presente nella serie Il commissario Montalbano tratto dai romanzi di Andrea Camilleri. Gira con Enzo Monteleone e Alexis Sweet e il Film- Tv” Il Capo dei Capi” prodotto dalla Tao Due – Nova Film e Distretto di Polizia 7.
La compagnia
BAM Teatro è una produzione indipendente, nata nel 2007. Produce, co-produce, mette in scena e distribuisce spettacoli tratti da testi inediti, commissionati o mai rappresentati in Italia, di autori contemporanei, viventi, preferibilmente italiani. Dal 2010 ha sede a Cagliari.
www.bamteatro.com