Archivio stagione 2013/2014
“Doppio Inganno” nell’Isola – Shakespeare ritrovato tra Palau e Tempio
CeDAC
XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo
Questa è la nostra Stagione
Stagione di prosa 2013/14
Il Mulino di Amleto e L’Albero Teatro Canzone
Doppio Inganno
una commedia perduta di William Shakespeare
sabato 29 marzo 2014 – ore 21/ PALAU – CineTeatro Montiggia
domenica 30 marzo 2014 – ore 21//TEMPIO PAUSANIA – Teatro del Carmine
Si apre il sipario su “Doppio Inganno – una commedia perduta di William Shakespeare”, nella mise en scène de Il Mulino di Amleto e L’Albero Teatro Canzone con la regia di Marco Lorenzi: la pièce del Bardo inglese (perduta nell’incendio del Globe Theatre e fortunosamente ritrovata e “restituita” all’autore) sarà in tournée nell’Isola, sotto le insegne del CeDAC, per un duplice appuntamento sabato 29 marzo alle 21 al Cine/Teatro Montiggia di Palau e domenica 30 marzo alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania.
Ispirata a un personaggio del “Don Chisciotte” di Miguel de Cervantes, la commedia shakespeariana narra le complicate (dis)avventure amorose di un giovane aristocratico, Hernandez, invaghitosi prima di una bella contadina, poi della fidanzata di un amico e diviso tra la lealtà e l’onore e il fuoco giovanile delle sue passioni. Tra inganni, tradimenti e tragedie sfiorate, arriva la soluzione con un autentico coup de théâtre che mette pace tra cuore e ragione.
COMUNICATO del 27.03.2014
Il gioco delle passioni in scena con “Doppio Inganno – una commedia perduta di William Shakespeare” nel cartellone della Stagione di Prosa 2013-14 firmata dal CeDAC (nell’ambito del XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo): lo spettacolo de Il Mulino di Amleto e L’Albero Teatro Canzone con la regia di Marco Lorenzi (attore, regista e drammaturgo, già vincitore del premio Schegge D’Autore 2009 con “La Ballata degli Impiccati”) sbarca nell’Isola per un duplice appuntamento sabato 29 marzo alle 21 al Cine/Teatro Montiggia di Palau e domenica 30 marzo alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania.
La pièce del grande drammaturgo inglese, liberamente ispirata a un personaggio del “Don Chisciotte” di Miguel de Cervantes (da cui il titolo originario di “Cardenio”, o meglio “History of Cardenio”) racconta i complicati amori e la giovanile irruenza di un aristocratico, Hernandez, che dopo aver tentato di sedurre – davvero con ogni mezzo – un’avvenente contadina s’invaghisce della promessa sposa di un amico – Cardenio, appunto – e pur di raggiungere lo scopo non esita a chiederla in moglie, contro il volere di lei, facendo valere il suo titolo e il suo rango nonché la sua ricchezza. L’intemperanza e l’arroganza di siffatto individuo, pronto ad abusare del proprio potere per i propri fini, rischiano di far precipitare le cose e suscitare reazioni estreme, finché con un artificio interviene, quasi come un deus ex machina, un misterioso benefattore che rimescolerà le carte del destino.
La mise en scène – per la prima volta in Italia – della commedia shakespeariana, scomparsa dopo l’incendio del Globe Theatre dopo due sole rappresentazioni nel 1613 e fortunosamente riapparsa nel 1727 nell’adattamento di Lewis Theobald, per poi essere finalmente restituita al “vero” autore solo nel 2010 (dopo accurati studi filologici e il ritrovamento di documenti e prove dell’esistenza del “Cardenio” shakespeariano) – regala il gusto dell’inedito e il piacere della (ri)scoperta di un’opera sconosciuta ai più, e creduta irrimediabilmente perduta. Un’affiatata compagnia di giovani attori (Lorenzo Bartoli, Luca Di Prospero, Gianluca Gambino, Alessandro Marini, Barbara Mazzi, Maddalena Monti e Raffaele Musella), diretti da Marco Lorenzi e con un artista del calibro di Bruce Myers (attore della Royal Shakespeare Company e poi di Peter Brook, nonché regista) come “primo spettatore”, si è cimentata con la pregnanza e l’energia “barbarica” (come la definisce Lorenzi) del teatro elisabettiano, e con la densità e ricchezza di sfumature dei personaggi, pensati in una immaginaria Spagna tra Cinquecento e Seicento non troppo dissimile dalla coeva Inghilterra.
Tra ironia e dramma, Shakespeare parla di amori infelici e contrastati e di atteggiamenti più spregiudicati e superficiali, mettendo a confronto il sentimento delicato e profondo di Cardenio per la sua promessa sposa (in segreto) e il desiderio di facili conquiste del suo amico Hernandez, disposto a ricorrere a ogni mezzo pur di vincere remore e resistenze di colei che, per un istante almeno, è in cima ai suoi pensieri.
“Doppio Inganno” offre anche (tra le righe) una chiara descrizione della condizione femminile: le donne – nobili o contadine – son sottoposte all’autorità del padre, o dei parenti maschi, e non sono neppure libere di scegliere la propria sorte o il proprio stato, e rimangono comunque prigioniere delle regole, delle convenzioni e della (doppia) morale della società. Difficile se non impensabile – per una povera contadina – sottrarsi alle profferte di un gentiluomo, ma pure una fanciulla ben nata e amata e protetta dalla sua famiglia deve piegarsi alla volontà paterna e accettare il marito che le viene imposto (salvo escogitare pericolose vie di fuga). Le creature femminili presenti nell’opera del drammaturgo inglese riflettono i diversi caratteri, dalla “bisbetica” Caterina all’ingenua e sognante Miranda, dalla dolce ma non remissiva Giulietta alla feroce Lady del Macbeth, e ciascuna pare appartenere all’ambiente in cui è cresciuta: pur in (relativamente) poche battute si condensa l’esistenza e il temperamento di ciascuna, costrette tutte a ritagliarsi il proprio ruolo nel mondo da eroine o da vittime (o entrambe). Come le due fanciulle – Lucinda e Dorotea – coinvolte nel “Doppio Inganno”.
Dopo la versione inglese della Royal Shakespeare Company, il “Cardenio” ovvero “Doppio Inganno” debutta in Italia (nel 2012) nell’allestimento de Il Mulino di Amleto e L’Albero Teatro Canzone: un progetto ambizioso e impegnativo che si fonda sul metodo di lavoro appreso da Bruce Myers, e su una nuova traduzione della commedia, che permetta di restituire nella lingua italiana la ricchezza e potenza dell’inglese di Shakespeare, la sua forza evocativa e la capacità di incantare, sedurre, divertire e commuovere gli spettatori.
“Doppio Inganno” – una coproduzione Il Mulino di Amleto e L’Albero Teatro Canzone in collaborazione con Teatro Carlo Marenco di Ceva, con il contributo della Città di Torino e della Provincia di Torino e con il sostegno del Sistema Teatro Torino e Provincia, in collaborazione con la Fondazione del Teatro Stabile di Torino e la Fondazione Circuito Teatrale del Piemonte – ripropone l’enigma del teatro del grande drammaturgo inglese, così attuale e perfettamente attinente alla sua epoca, e insieme così universale e quindi moderno nel raccontare nobiltà e abissi del cuore umano.
per l’Ufficio Stampa del CeDAC/ Sardegna:
Anna Brotzu – cell. 328.6923069 – cedac.uffstampa@gmail.com
INFO & PREZZI
PALAU
Biglietti
intero €15 – ridotto €12
info 3385865992 – santino.mariani@alice.it
www.cedacsardegna.it
TEMPIO PAUSANIA
Biglietti
Platea intero e galleria centrale €15
Platea ridotto e galleria laterale €13
Loggione €6
riduzioni: under 25, over 65
Info:tel. 079 671580 – 079 630377 – infogiovani.tempio@tiscali.it
F teatrodelcarminetempio – www.cedacsardegna.it
SCHEDA DELLO SPETTACOLO
Il Mulino di Amleto e L’Albero Teatro Canzone
Doppio Inganno
una commedia perduta di William Shakespeare
con Lorenzo Bartoli, Luca Di Prospero, Gianluca Gambino, Alessandro Marini,
Barbara Mazzi, Maddalena Monti, Raffaele Musella
disegno luci e idea scenica Francesco Dell’Elba
primo spettatore Bruce Myers
regia Marco Lorenzi
una coproduzione Il Mulino di Amleto – L’Albero Teatro Canzone
in collaborazione con Teatro Carlo Marenco di Ceva
con il contributo della Città di Torino e della Provincia di Torino
con il sostegno di Sistema Teatro Torino e Provincia
in collaborazione con Fondazione del Teatro Stabile di Torino
e con Fondazione Circuito Teatrale del Piemonte
La storia…
Immaginiamo che William Shakespeare abbia scritto un dramma ispirato dal Don Chisciotte di Cervantes… Immaginiamo che questo dramma sia andato in scena soltanto due volte, al tempo del suo autore e poi il testo sia scomparso in un incendio del Globe Theatre di Londra; che quattro secoli più tardi un direttore della Royal Shakespeare Company riesca miracolosamente a ritrovare il dramma andato perduto e che ora il testo sia finalmente pronto (e ufficialmente riconosciuto) per poter essere restituito al pubblico e al Teatro…
Fin qui niente di strano se si trattasse della trama di un romanzo, ma il fatto è che stiamo parlando di una storia vera. Per capirne di più, come in un giallo che si rispetti, conviene fare un passo indietro.
Qualche notizia certa esiste: il Don Chisciotte arriva in Inghilterra nel 1612, sette anni dopo la pubblicazione in Spagna. Basandosi su un episodio del romanzo di Cervantes, quello stesso anno Shakespeare scrive un dramma intitolato Storia di Cardenio, aiutato da un altro commediografo, John Fletcher. Il Cardenio viene messo in scena due volte nel 1613 al Globe Theatre, che viene però distrutto pochi mesi più tardi da un incendio. In questo incendio vanno bruciati molti originali delle commedie del grande bardo. Da allora si perdono le tracce del manoscritto, al punto da insinuare perfino il dubbio che sia mai esistito.
Poi il giallo fa un altro balzo in avanti: nel 1727 il drammaturgo Lewis Theobald sostiene di avere adattato il suo dramma Double falshood (Doppio Inganno) dal Cardenio di William Shakespeare, dopo il ritrovamento di una copia non autografa nel Covent Garden. Questo evento diede il via ad un lungo periodo di querelle critica intorno alla reale paternità del testo.
E veniamo al presente. Nell’ottobre del 2010 il direttore della Royal Shakespeare Company accennò finalmente al “ritrovamento” delle ricevute di pagamento per l’iscrizione di The History of Cardenio nello Stationer’s Register, ovvero l’albo degli stampatori di Londra. A questa scoperta si affianca il lungo lavoro di verifica sul testo intrapreso dal Professor Brean Hammond, curatore della famosa collana Arden Shakespeare. Lavoro che si è concluso con la definitiva attribuzione a William Shakespeare del dramma e con il conseguente inserimento nella collana.
La trama
Nella provincia andalusa, il nobile Henriquez corteggia Violante, splendida contadina che lo respinge. Quando Henriquez ne ha abbastanza della determinazione di lei, tenta di violentarla. Il senso di colpa lo perseguita, ma la sua giovane età e la sua passione non conoscono tregua. Nonostante il rimorso, tenta infatti la conquista di Leonora, promessa sposa del suo migliore amico, Julio, temporaneamente assente.
Leonora dovrà accettare la nuova proposta di matrimonio, poiché suo padre, Don Bernardo, non vede l’ora di legarsi a doppio filo a una famiglia di Duchi quale quella di Henriquez. La ragazza, leale e tormentata, scrive allora una lettera a Julio, il quale, grazie all’intervento di un misterioso sconosciuto riesce a tornare in tempo per interrompe le nozze. Leonora sviene. Ed è allora che suo padre scopre il pugnale e la lettera con cui Leonora annuncia il suo suicidio: piuttosto che rifiutare l’uomo che ama è pronta a darsi la morte pur di non accettare un matrimonio di convenienza.
Quando gli eventi sembrano precipitare ecco che la scena si sposta in un bosco, dove tutti i personaggi hanno cercato rifugio per motivi diversi. E dove Rodrigo, fratello di Henriquez e duca dell’Andalusia, ordisce un raffinato “doppio inganno” per riportare la serenità e la felicità in queste appassionate storie d’ amore. Tra colpi di scena, battute graffianti, travestimenti e un finto funerale, Shakespeare gioca qui con la parola ed il suo doppio e, come nessuno, grazie alla sua arte, riesce a rendere visibile l’invisibile.
Il lavoro sul testo
«La coerenza non ha niente a che vedere con il vero stile shakespeariano» – Peter Brook
La forza delle parole di William Shakespeare echeggia così in profondità nello spettatore perché nessun autore come lui ha scritto per i suoi attori e per il suo pubblico, tenendone presente il gusto, l’attenzione e la pragmaticità. Questo è il motivo per cui “Doppio Inganno” ha una traduzione completamente nuova e di un adattamento che la compagnia ha sviluppato durante le prove, attingendo ai molteplici spunti offerti dalla scrittura di William Shakespeare, il più grande costruttore di storie che ci sia mai stato.
Note di regia
Avere tra le mani proprio un testo come “Doppio Inganno” vuol dire fare un tuffo in un mondo in cui l’avventura, il viaggio senza mèta e la ricerca di sé, la passione e l’ironia sono all’ordine del giorno.
Quando penso a questo testo mi piace ripetere una frase, “I contemporanei di Shakespeare sono uomini dell’avventura, uomini del Caso” (non è mia ma dello studioso Alessandro Serpieri). Quelli in cui vive Shakespeare sono gli anni delle grandi scoperte geografiche: il mondo del fantastico e dell’avventura si allarga nella mente degli elisabettiani. La corte di Elisabetta è frequentata da pirati e avventurieri. Si rischia di morire in ogni angolo della strada. La vita è una scommessa, in pochi altri periodi storici gli uomini sono stati così pienamente tali come negli anni splendidi e contradditori del Rinascimento inglese. Tutto questo inevitabilmente permea le pagine scritte da Shakespeare.
Per questo mi sto affezionando all’idea che anche il mondo in cui si muoveranno i personaggi del nostro Doppio Inganno possa essere un mondo veramente pericoloso, un mondo quasi interamente maschile in cui le donne non hanno vita facile e infatti sono eroine, protagoniste di gesti unici di coraggio e generosità. Un mondo di viaggi, di avventure meravigliose, di lotte appassionate di sentimenti totalizzanti. Non è un caso neanche che Shakespeare ambienti la sua commedia in Spagna: sa che il suo pubblico è interessato agli ex-rivali (la pace tra Inghilterra e Spagna era appena stata firmata, e il Don Chisciotte era un best-seller anche a Londra) e sa che nella testa del suo pubblico dire Spagna è come dire passione, fuoco, viscere.
Abbandonandoci a questa “vita al quadrato” proposta da Shakespeare, abbiamo avuto modo di lavorare su una qualità di energia molto alta (barbarica, vorrei dire), che tiene incollato l’ascoltatore alle parole del testo che, spogliate di poesia, diventano concrete.
Mi sembra che questo modo di parlare sia, per questi personaggi, il loro normale modo di parlare, non potrebbero farlo in modo diverso perché pensano, sentono e vibrano in questo modo.
Come dice Peter Brook, “La difficoltà di Shakespeare sta nel farlo arrivare fino all’ultima fila, andrebbe detto e sussurrato all’orecchio di ogni spettatore”.
È presunzione pensare di poterlo fare?
Forse la risposta è proprio nel lavoro: partire dalla fatica, dal sudore, dal puro artigianato. Partire da una possibilità di incontro e quindi di scambio: tra gli attori stessi (per questo è stata fondamentale la scelta di un gruppo solido), tra loro e me, ma soprattutto tra noi e l’autore. E un grande autore come William Shakespeare moltiplica la possibilità di questo scambio meraviglioso.
Questo è l’inizio del “nostro inizio”.
Marco Lorenzi