20 febbraio 2024 ore 21.00
Durata: 1 ora e 15 minuti
Primi Posti Intero € 25
Primi Posti Insegnanti e Riduzioni Riconosciute € 20
Secondi Posti Interi € 20
Secondi Posti Insegnanti e Riduzioni Riconosciute € 18
Secondi Posti Studenti € 15
Loggione € 15
Loggione Studenti € 10
Edipo Re
Una favola nera
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
con Edoardo Barbone, Ferdinando Bruni, Mauro Lamantia, Vincenzo Grassi
costumi di Antonio Marras
realizzati da Elena Rossi e Ortensia Mazzei
maschere Elena Rossi
luci Nando Frigerio, suono Giuseppe Marzoli
si ringrazia Tonino Serra per la decorazione del mantello di Edipo
produzione Teatro dell’Elfo
Un viaggio visionario e musicale in compagnia di Edipo, “colui che sogna i sogni profondi”.
Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, autori e registi di questo progetto, reinventano il rito della tragedia con sguardo contemporaneo: le maschere, i costumi materici di Antonio Marras, che divengono presenze scenografiche, e il cast tutto maschile “allontanano il racconto da ogni realismo per avvicinarlo a una dimensione onirica, capace di emozionare e di parlare all’inconscio”. Quattro interpreti si dividono la scena dando corpo e voce a tutti i personaggi di questo mito: Ferdinando Bruni e tre attori ‘under 35’ di grande talento, Edoardo Barbone, Mauro Lamantia e Vincenzo Grassi (che nel 2024 sostituisce Valentino Mannias nel ruolo di Edipo)
«Il nostro viaggio verso Tebe è un viaggio attraverso uno delle leggende più note che ci arrivano dal mondo remoto, eppure vicinissimo, della civiltà greca: l’Edipo Re. Una vicenda che ha l’andamento di una favola, con tanto di principe/bambino abbandonato sui monti da un pastore che aveva ricevuto da due genitori snaturati l’ordine di farlo morire, con l’uccisione di un mostro da parte del bambino, diventato nel frattempo impavido cavaliere, con il premio di una bella regina in sposa e di una corona di re. Come tutto questo vada a finire, come il ‘vissero felici e contenti’ si ribalti in catastrofe è cosa piuttosto nota ed è fonte di ispirazione per innumerevoli variazioni che, dal capolavoro di Sofocle, arrivano fino al secolo appena concluso, passando per Seneca, Dryden e Lee, Thomas Mann, Hoffmansthal, Cocteau, Berkoff. Ed è quello che vogliamo raccontare nel nostro spettacolo, coniugando la tragedia con la fiaba.
Una fiaba nera, intendiamoci, una macchina infernale (come la chiama Cocteau), un meccanismo inarrestabile in cui ogni verso, ogni parola si fanno irti e frementi di dolorosa ironia e ambiguità. Il re smaschera sé stesso e si scopre mostro, ogni cosa che in lui sembrava gloriosa si rivela contaminata da orribili colpe e segna il destino di quella stessa città che lo aveva proclamato sovrano. La punizione che si autoinfligge per non aver saputo leggere dentro di sé è un contrappasso tutto sommato piuttosto rozzo: il nostro eroe si caverà gli occhi. Il destino che lo travolge ha richiesto un bel grado di complicità da parte sua, ogni passo che ha fatto per allontanarsi da un finale tragico lo ha invece avvicinato al suo infelice epilogo ed è proprio in questo meccanismo implacabile che risiede l’ironia del fato: cercando di sfuggire al nostro destino cospiriamo con lui. Edipo vive in una perenne contraddizione causata da quello che sa, ma soprattutto da quello che non sa di sapere e questa trappola alla fine scatta su di lui e lo conduce proprio nel posto da cui sarebbe voluto scappare.
La tragedia dà voce ai complessi rapporti che intercorrono fra libertà e necessità, che sono tra i valori fondativi del nostro essere uomini e rappresenta per noi, creature del ventunesimo secolo, una sfida che ci mette di fronte a tutto quello che non riusciamo a controllare con le armi della ragione, grande mito della modernità. Nella tragedia la concezione del tempo come flusso lineare viene rovesciata. Il passato non è passato, il futuro si ripiega su stesso e il presente è attraversato da riverberi di passato e futuro che lo destabilizzano.
Anche se la tragedia ci arriva da un mondo lontano, anche se le sue storie prendono ispirazione da narrazioni ancora più remote, è difficile immaginare qualcosa di più adatto alla nostra epoca di questa forma d’arte che descrive la transizione tra un vecchio mondo che sta scomparendo e un nuovo mondo di cui ancora sappiamo molto poco.
Nella tragedia il tempo è sempre fuori sesto e anche noi che viviamo in questi anni incerti potremmo dire con Amleto: “maledetto destino essere nati perché quadri ancora”.
Edipo sa qualcosa fin dall’inizio, ma si rifiuta di vedere e ascoltare quello che gli viene detto. Sarà Tiresia, colui che non vede, l’indovino cieco, a rivelargli che la causa dell’impurità che sta cercando di sradicare dal mondo deve cercarla in sé. Ma Edipo non dà ascolto alle sue parole e, accecato a sua volta da un’arroganza molto contemporanea, rifiuta di vedere e di capire. In questo modo da risolutore di enigmi diventa egli stesso enigma. La norma viene sovvertita e l’essere umano che cerca di contrastare gli eventi ne viene travolto, passando da agente ad agito, da innocente a colpevole, diventa qualcosa di sconcertante, incomprensibile e mostruoso.
In questo nostro Edipo Re cerchiamo di reinventare con uno sguardo contemporaneo un rito di cui alla fine sappiamo molto poco: l’uso delle maschere, per esempio, istituito forse per motivi religiosi, allo scopo di abbandonare l’identità individuale per raggiungere l’ékstasis, (ἔκστασις), l’‘uscita da sé’, per noi diventa uno strumento per aiutare gli attori a un diverso percorso di immedesimazione; così come il cast tutto maschile ci allontana da ogni tentazione di realismo per portare il racconto a una dimensione quasi sciamanica, per aprire un caleidoscopio di immagini oniriche capace di emozionare gli spettatori creando suggestioni ed evocando inquietudini che parlino al loro inconscio, anche se in questo viaggio siamo rimasti volutamente distanti da Freud e dalle sue teorie sul complesso di Edipo.
“Nella vita c’è un punto in cui non si può tornare indietro. E poi c’è un punto, ma i casi sono molto più rari, in cui non è più possibile andare avanti. Quando questo accade, che sia un bene o un male, l’unica cosa che possiamo fare è accettarlo in silenzio. È in questo modo che viviamo”. Così racconta Murakami a proposito di Tamura Kafka, il ragazzo Corvo vittima come Edipo di una profezia nascosta dentro di lui come un ingranaggio, un’ennesima variazione del mito in cui ci siamo imbattuti. Siamo esseri umani e probabilmente, anche se l’ottimismo a volte ottuso della contemporaneità ci ripete il contrario come una tiritera rassicurante, non possiamo scegliere il nostro destino. Potremmo dire che questa visione pessimista è alla base della tragedia greca, anche se, secondo Aristotele, la situazione tragica non nasce dai difetti del protagonista bensì, paradossalmente, dalle sue virtù. L’uomo non è trascinato nella tragedia dalle sue pecche, ma dalle sue qualità. L’Edipo Re ne è un perfetto esempio. A causare la tragedia dell’eroe non sono pigrizia e stupidità, da cui è immune, ma il coraggio e il senso di giustizia che lo animano. È da questa contraddizione che inevitabilmente scaturisce l’ironia urticante di questa storia, uno dei tanti motivi per cui questa vicenda continua ad affascinarci e a creare corto circuiti di senso con il nostro presente. È per la sua straordinaria potenza metaforica. Ogni cosa nel mondo è metafora. Non tutti uccidono realmente il proprio padre e si accoppiano con la propria madre ma, attraverso questo dispositivo chiamato metafora, diventiamo partecipi dell’ironia della sorte e, grazie a questo, la nostra comprensione del tragico si fa più profonda e più grande».
Ferdinando Bruni e Francesco Frongia