5 marzo 2024 ore 21.00 

Durata: 110 minuti

Primi Posti Intero € 25

Primi Posti Insegnanti e Riduzioni Riconosciute € 20

Secondi Posti Interi € 20

Secondi Posti Insegnanti e Riduzioni Riconosciute € 18

Secondi Posti Studenti € 15

Loggione € 15

Loggione Studenti € 10

FESTEN – IL GIOCO DELLA VERITÀ

di Thomas VINTERBERG, Mogens Rukov & BO Hr. Hansen

Adattamento per il Teatro di David Eldridge

Prima produzione Marla Rubin Productions Ltd, a Londra

Per gentile concessione di Nordiska ApS, Copenhagen

Versione italiana e adattamento di Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi

Con Danilo Nigrelli, Irene Ivaldi e (in o. a.) 

Yuri D’Agostino, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave, Carolina Leporatti,  

Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Angelo Tronca

Regia Marco Lorenzi

Assistente alla regia Noemi Grasso

Dramaturg Anne Hirth

Visual concept e video Eleonora Diana

Costumi Alessio Rosati

Sound designer Giorgio Tedesco

Luci Link-Boy (Eleonora Diana & Giorgio Tedesco)

Consulente musicale e vocal coach Bruno De Franceschi

Direttore tecnico Rossano Siragusano 

Direttore di scena Francesco Dina
Fonico Denis Petraglia

Datore luci Alessandro Palumbi

Foto di scena Giuseppe Distefano

Produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale,
Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti

in collaborazione con Il Mulino di Amleto

Festen. Il gioco della verità è il primo adattamento italiano tratto dalla sceneggiatura dell’omonimo film danese del 1998 diretto da Thomas Vinterberg, scritto da Mogens Rukov e BO Hr. Hansen e prima opera aderente al manifesto Dogma 95. 

A firmare la regia è Marco Lorenzi, regista fondatore della compagnia torinese Il Mulino di Amleto, vincitrice Premio della Critica A.N.C.T. 2021. 

Lo spettacolo, al terzo anno di tournée, è sostenuto dall’impegno produttivo di TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti, in collaborazione con Il Mulino di Amleto.

Considerato ormai un classico del teatro europeo, Festen vede in scena Danilo NigrelliIrene Ivaldi, Yuri D’Agostino, Elio D’Alessandro, Roberta Lanave, Carolina Leporatti, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Angelo Tronca.

La pièce racconta di una grande famiglia dell’alta borghesia danese, “i Klingenfeld”, riunita per festeggiare il sessantesimo compleanno del patriarca Helge. Alla festa sono presenti anche i tre figli: Christian, Michael e Helene. Il momento di svolta sarà il discorso di auguri del figlio maggiore Christian che, una volta pronunciato, cambierà per sempre gli equilibri della famiglia, svelando ipocrisie e strappando via maschere. La festa si trasforma in un gioco al massacro volto a mettere in discussione, in un crescendo di tensione, il precario equilibrio familiare fondato su rapporti ipocriti, segreti indicibili e relazioni di potere malsane.

L’opera scava all’interno dei tabù più scomodi, affrontando la relazione con la figura paterna, la verità, il rapporto con il potere e l’autorità imposta. Impossibile non pensare ad Amleto, alla tragedia greca, ma anche all’universo favolistico dei Fratelli Grimm.

La scelta registica di un uso drammaturgico radicale della cinepresa permette di sfruttare la possibilità di costruire costantemente un doppio piano di realtà che consegna allo sguardo degli spettatori la condizione di scegliere tra quello che viene costruito sul palcoscenico e la “manipolazione” che l’occhio della cinepresa rielabora in diretta e che viene proiettato. Con un gigantesco piano-sequenza, girato dagli stessi attori per tutto lo spettacolo e proiettato davanti allo sguardo della platea, cerchiamo di amplificare, ironizzare, dissacrare e approfondire il senso delle domande di Festen

Qual è la verità? Cosa scegliamo di guardare? A cosa scegliamo di credere? 

Festen è stato inserito dalla rivista Birdmen tra i 10 spettacoli imperdibili nel 2022.

NOTE DI REGIA

«Festen è un abisso.

Anzi, mi torna in mente una battuta incredibile del Woyzeck di G. Büchner «Ogni uomo è un abisso, a ciascuno gira la testa se ci guarda dentro». Ecco, Festen mi fa questo effetto.

Quando, nel 2020, ho iniziato a lavorare alla trasposizione teatrale del film cult di Thomas Vinterberg, ero affascinato dalla potenza delle dinamiche familiari e dall’impertinenza linguistica e formale con cui Vinterberg, Lars Von Trier e il Dogma 95 avevano rivoluzionato il cinema che li circondava. Ancora non sapevo l’abisso che mi aspettava…

Festen ci chiama in causa, ci sposta dall’indifferenza in cui pericolosamente rischiamo di scivolare ogni giorno di più, soprattutto in un tempo costellato da paure e incertezze come il nostro, un tempo di divertissement e entertainment mentre intorno a noi tutto si sgretola, un tempo in cui è facile voltare lo sguardo dagli orrori per continuare a dire: “Dopo questo piccolo – come potremmo definirlo – intermezzo, possiamo riprendere i nostri posti per proseguire la festa”, come i personaggi dello spettacolo, così come noi. 

Festen sembra raccontare una festa di famiglia per celebrare i 60 anni del patriarca, ma in verità ha a che vedere con il nostro rapporto con la verità, con il potere e con l’ordine costituito. Sono sempre più sicuro che il nostro Festen sia una comunità di esseri umani che recitano una commedia mentre uno di loro (Christian) combatte come un pazzo per mostrare che in realtà sono tutti in una tragedia. Per questo, Festen è radicalmente politico.

Sento che in questa tensione tra due forze, così opposte e profonde, ci sia la forza del nostro spettacolo che ci porterà a mostrare quanto sia necessario strappare quel velo di Maya, quel diaframma che impedisce di vedere realmente le cose come stanno. Mi sembra molto toccante, attraverso Festen, poter chiedere al pubblico: “Perché non abbiamo la forza di vedere le cose come stanno? Perché accettiamo tutta questa finzione? Quanto coraggio richiede la verità?”. Certo, sono domande grandissime e non saremo noi a dare le risposte. Ma penso che l’onestà e il gioco profondo del nostro spettacolo stia nel condividerle con gli spettatori, con tutte le paure, le fragilità, la tenerezza e l’ironia che le accompagnano. Ma Festen ci ha fornito anche un incredibile materiale di ricerca e di sperimentazione del linguaggio. Ci siamo spinti verso un radicale uso drammaturgico della cinepresa per sfruttare la possibilità di costruire costantemente un doppio piano di realtà che consegnasse allo sguardo degli spettatori la condizione di scegliere tra quello che viene costruito sul palcoscenico e la “manipolazione” che l’occhio della cinepresa rielabora in diretta e che viene proiettato. Con un gigantesco piano-sequenza che lungo tutto lo spettacolo verrà girato dagli stessi attori e proiettato davanti allo sguardo della platea, cerchiamo di amplificare, ironizzare, dissacrare e approfondire il senso delle domande di Festen. Qual è la verità? Cosa scegliamo di guardare? A cosa scegliamo di credere? 

Tutto questo fino a quando il sottile velo che divide la verità dalla sua immagine, non cadrà, non scomparirà una volta per tutte, lasciando spazio al silenzio, al vuoto, alla meraviglia della presenza degli attori che hanno reso possibile questa “follia”; alla meraviglia dei loro corpi, alle loro vibrazioni più sottili e alle loro emozioni, alla realtà insostituibile della loro sincerità…».                              

Marco Lorenzi

 

«Con Marco abbiamo lavorato partendo dal manifesto del Dogma interrogandoci su come questo sia interpretabile in un contesto teatrale; è così che siamo arrivati in Festen all’utilizzo del video, che è come se fosse un altro protagonista che riprende la finzione della famiglia. Quando interrompiamo il video, il re è nudo.

L’utilizzo della camera è pensato come un unico piano sequenza, solo quando viene a sgretolarsi il teatro allora il velo viene tolto e gli spettatori possono vedere la verità.

Gli attori lavorano dietro un diaframma su cui vengono proiettati solo le porzioni che si decide di mostrare, come a non voler rivelare la realtà. Solo dopo diversi tentativi il diaframma viene buttato giù e la finzione del video lascia spazio al reale».

Eleonora Diana

visual concept e video

 

«Rivelare all’occhio dello spettatore la storia di una persona mai incontrata prima, il suo stato d’animo, i suoi desideri, se possibile anche i suoi segreti, al primo sguardo e con pochi metri di tessuto, un colore, una materia: il lavoro del costumista. Nel mio, l’ispirazione nasce sempre dall’osservazione curiosa e instancabile delle persone che mi circondano, magari anche solo per pochi istanti, alla fermata di un autobus o su un treno: e dal gioco di immaginare quale sia la loro vita, come proseguirà la loro storia da lì in poi.

Il confronto con i temi di questo testo non è stato banale: ogni personaggio di Festen è lontano da stereotipi ed ha una natura impervia, non facilmente accessibile, che ha richiesto un dialogo ed un confronto continui con la regia per tradurre ciascuno di loro in materie texture e colori suoi propri, che ne sapessero cogliere il carattere e le sfumature: espansività, introversione, aggressività, falsità, coraggio o fragilità, con un dettagliato approccio analitico; per certi versi un lavoro da entomologo. È stato affascinante vedere uno dopo l’altro i bozzetti allinearsi come disegni di strani e affascinanti insetti ciascuno con la loro livrea a raccontare una storia diversa. Un lavoro che è stato anche un gioco della verità».

Alessio Rosati
costumi

 

«Il sound design di Festen rispecchia il conflitto tra l’aspetto che si cerca di dare alla verità, e la nuda sostanza della condizione dell’uomo. I suoni di un pranzo, della cucina e di una strada di campagna sono “realistici” ma tutt’altro che veri: è la realtà che fa comodo, la rappresentazione posticcia che ci viene consegnata come normalità. 

Le musiche sono la colonna sonora che risuona nella mente del protagonista: quando è ossessionato dallo spettro della sorella scomparsa (Mi piacerebbe ogni tanto averti qui di Emidio Clementi), quando programma la sua vendetta, quando assiste alla caduta dell’impero fatto di menzogna (Nightmare di Giorgio Tedesco).  I canti degli attori (che intonano da Bambina innamorata di Gigli a Waldseligkeit di Strauss) sono lo strumento di rimozione, un balsamo per lavare via per qualcuno la colpa, la vergogna, per altri lo stupore per il “fuori programma”».

Giorgio Tedesco

sound designer

«…come la chitarra e i decibel di Michael J. Fox in Back to the future, Christian idealmente schiaffeggia il padre, che risponde petaloso con vinili gracchianti foxtrot e habanere in voci complici e misurate, tendenti a seppellire e rimuovere la violenza che da sotto ribolle: anche i mondi e gli immaginari musicali di due generazioni si pongono/oppongono in attesa di un finale glaciale. In effetti, non è una favola per bambini…».

Bruno De Franceschi
consulente musicale e vocal coach

 

Dogma 95. Autunno 1995. Quattro cineasti danesi: Søren Kragh-Jacobsen, Kristian Levring, Lars Von Trier e Thomas Vinterberg si ritrovano a Copenhagen per redigere e firmare un documento, un manifesto che proclamava un «voto di castità» sulla tecnica cinematografica. Un dettame a cui, sia loro che gli eventuali aderenti al movimento, avrebbero dovuto seguire nel realizzare i loro film. Tutti gli orpelli erano vietati, si proclamava un cinema senza filtri, un cinema puro, privo di illusioni e di canoni predefiniti, in cui è «la vita interiore dei personaggi a giustificare la trama». Nasce così Dogma 95. 

Festen è il primo film realizzato da Thomas Vinterberg secondo i dettami del Dogma. La semplicità nella realizzazione, l’incredibile mano del grande Vinterberg e il profondo significato politico sociale di critica alla società danese, fanno del film un cult fondamentale. Il film vinse nel 1998 il Gran Premio della Giuria a Cannes (all’epoca presieduta da Martin Scorsese), numerosi Robert (gli Oscar nordici) e anche alcuni Independent Spirit Awards, imprimendo così a fuoco nella mente della critica e del pubblico il nome di Thomas Vinterberg e il concetto di Dogma 95. 

Il regista si è aggiudicato nel 2021 il premio Oscar per il miglior film straniero con la pellicola Un altro giro