Prosa
I Miserabili
12 > 16 dicembre 2018
Cagliari / Teatro Massimo
-----17 dicembre 2018
Sassari / Teatro Comunale
-----dal romanzo di Victor Hugo
con Franco Branciaroli
e con Alessandro Albertin, Filippo Borghi, Federica De Benedittis, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Andrea Germani, Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio, Maria Grazia Plos, Valentina Violo
regia Franco Però
«Quella di portare "I Miserabili" sulle tavole di un teatro di prosa - scrive Luca Doninelli, che cura l’adattamento del romanzo per lo spettacolo diretto da Franco Però e interpretato da Franco Branciaroli – è un’impresa sicuramente temeraria, una sfida per chiunque sia disposto a sopportare un grande insuccesso piuttosto che un successo mediocre.
Millecinquecento pagine che appartengono alla storia non solo della letteratura, ma del genere umano. Come l’Odissea, come la Commedia, il Chisciotte o Guerra e Pace.
Le ragioni per cui era impossibile non accettare questa sfida sono tante. La prima è quello strano miracolo che rende un’opera come “I Miserabili” capace di parlare a ogni epoca come se di quell’epoca fosse il prodotto, l’espressione diretta.
I miserabili sono ciò che sta oltre il terzo e il quarto stato, e rappresentano l’umano nella sua nudità: spogliato non solo dei suoi beni terreni, ma anche dei suoi valori, da quelli etici fino alla pura e semplice dignità che ci è data dall’essere uomini.
Ma un miserabile – un galeotto, uno che vive nei sotterranei più impenetrabili della società – non è quasi più un uomo. E il nostro presente è pieno di uomini così: i poveri, coloro che non hanno niente, che non possono contare sul futuro, che non hanno scorte da consumare e possono sperare solo nella piccola fortuna che potrà garantire loro un altro giorno, un’altra ora.
In questa terra di nessuno, buoni e cattivi si mescolano, non ci sono valori che li possano distinguere: solo fatti, casi, eventi.
Come quello in cui s’imbatte il forzato Jean Valjean, la cui vita viene segnata come da un marchio a fuoco dall’incontro con una insperata, inimmaginabile bontà, da un’impossibile clemenza. Lui non è migliore del viscido Thénardier, e nemmeno dell’impenetrabile Javert, ma un segno di diversità è stato posto in lui, e con quello dovrà compiere la sua traversata della vita che gli resta.
Chi, elaborando la drammaturgia di un’opera come questa, desideri usare quasi solo parole di Victor Hugo non può evitare alcuni problemi capitali: l’indole silenziosa dei personaggi principali; il fatto che ogni personaggio sia protagonista di un suo romanzo, e che questi romanzi non appartengono necessariamente allo stesso genere (per es. quello di Jean Valjean è un romanzo di iniziazione, quello di Javert è una pura tragedia, senza alcuna iniziazione possibile); il fatto che molte delle scene più geniali risultino refrattarie a qualsiasi rappresentazione scenica.
Forse trent’anni fa, quando “I Miserabili” erano un testo conosciuto, almeno per sommi capi, da tutti, sarebbe stato sufficiente ridurre l’azione a pochi elementi lasciando sullo sfondo il resto.
Oggi questo non è più possibile, e la storia di Jean Valjean, di Fantine, Cosette, Javert, dei Thénardier, di Marius, Gavroche, Eponine e di tutti gli altri deve essere raccontata da capo e, possibilmente, per intero. Del resto, solo la forza della nrrazione può abbracciare i diversi registri che attraversano questa sterminata sinfonia.
Qui sta il rischio principale, che intendiamo affrontare: individuare l’algoritmo, o meglio la metonimia giusta, scegliere la parte che meglio potrà rappresentare il tutto, in sostanza: costruire uno spettacolo su un testo che non potrà superare le settanta, ottanta pagine, ma che dovrà comprendere – e non implicitamente – anche le altre millequattrocento.
Ogni capitolo, ogni parte, ogni quadro, ogni scena dell’immenso romanzo (pensiamo alla meravigliosa descrizione della battaglia di Waterloo, o alla scena della nave Orion) in realtà meriterebbe uno spettacolo a sé. Se questo non si può fare, si dovrà in ogni caso costruire uno spettacolo che, nel proprio ventre, possa contenere in qualche modo anche ciò che non si riuscirà a raccontare.
Infine, la sfida era inevitabile anche per un’altra ragione, e cioè che, tra le altre cose, questo capolavoro è anche una metafora del Teatro, e quindi l’attore, rappresentando “I Miserabili”, rappresenta anche sé stesso e la propria arte. Come la società descritta a metà del romanzo (parole che noi trasferiremo nel prologo iniziale), anche il Teatro è stratificato, e conosce doppi e tripli fondi, secondo un gioco necessario che per qualcuno è incanto, o magia, e per qualcun altro è Fato. Pensiamo solo al moto di paura che ci prende quando, all’improvviso, i fondali aprendosi lasciano intravedere la nuda struttura del teatro, ed è come se il velo del mondo si squarciasse e noi per un istante vedessimo il fondo della realtà, la sua struttura originaria, il suo meccanismo, divino o insensato che sia».
da una conversazione con Franco Però – regista de I Miserabili
Accostarsi ai “I Miserabili” di Victor Hugo ha rappresentato per tutti, attori e creatori, un’impresa emozionante e anche “temeraria” come l’ha definita Luca Doninelli, che ha accettato la sfida dell’adattamento di questo capolavoro…
«Molte sono anche le ragioni che ci hanno spinto verso quest’impresa un’importante induzione verso questa scelta, viene proprio dal momento che stiamo vivendo nelle società occidentali, dove si assiste all’inesorabile ampliarsi della forbice fra i “molto ricchi” e i “molto poveri”, fra chi è inserito nella società e chi invece ne è ai margini.
Dopo anni in cui, allo Stabile, attraverso la drammaturgia, abbiamo indagato il microcosmo della famiglia (“Scandalo” di Schnitzler, “Play Strindberg” di Dürrenmatt), apriamo ora lo sguardo al macrocosmo della società. C’è un’altra considerazione: il pubblico, a teatro, sembra sempre più attratto da operazioni legate alla narrativa. La narrativa sulla scena è un medium che permette anche di attrarre fasce non abituate a frequentare le platee, trattando argomenti dal valore universale… Naturale dunque guardare ai grandi romanzi.
Poi subentrano le passioni, le vicinanze culturali che ognuno possiede. Io ho sempre frequentato soprattutto la letteratura francese (ha diretto più edizioni de “Lo Straniero” di Camus, tratto da uno dei più grandi romanzi del secondo Novecento), accanto a quella mitteleuropea: da qui “I Miserabili”, che – concordo con il recente parere di un critico francese – è forse il romanzo più famoso che esista in occidente, ma che pochissimi hanno letto per intero, tanto è imponente».
È però anche un’opera capace come rare di parlare al nostro tempo...
«Non c’è stata una giornata delle prove in cui per sistemare una battuta, per cercare una parola, non ci si sia imbattuti in concetti universali, pensieri che toccano il mondo di oggi, la nostra
società, il pensiero francese di questi momenti… Un giorno mi suonava strana la battuta di uno dei giovani rivoluzionari e ho riguardato il romanzo, certo che ci fosse stato qualche aggiustamento drammaturgico: sembrava scritta nel ’68. Invece Luca Doninelli aveva preso esattamente la frase di Hugo, che continua a stupirci e impressionarci per queste sue assonanze con l’attualità, per la capacità di affrontare temi diversissimi, di mettere assieme momenti alti e momenti bassi (questa è un’altra sua grandezza). “I Miserabili” è veramente un fiume in piena di cui noi restituiremo un’onda o poco più»
In questo grande affresco, ogni personaggio, ogni storia ha rilievo, spazio, chiaroscuri da tratteggiare: accanto a Franco Branciaroli, ha raccolto attori diversi per formazione e provenienza, ma tutti di notevole talento…
«Ogni personaggio è quasi protagonista di un proprio romanzo all’interno de “I Miserabili”, ogni attore ha un ruolo fondamentale: mi è sembrato giusto partire dagli otto attori della Compagnia dello Stabile del Friuli Venezia Giulia, poi ho integrato il cast con alcuni altri attori tutti di qualità… e poi esiste Jean Valjean.
Un personaggio “monstre” che aveva bisogno di un attore altrettanto “monstre”: Franco Branciaroli. Diverse ragioni mi hanno indirizzato a lui, oltre al piacere di “incontrarlo” finalmente sulla scena: certo mi ha favorito sapere che aveva già collaborato con lo Stabile in un bellissimo “Galileo”, mi hanno colpito alcune sue dimostrazioni di generosità nel recente passato, e naturalmente ho ammirato la sua carriera, i lavori con Ronconi… Ho messo in rapporto la sua bravura, la sua generosità e la sua capacità di essere “fuori dalle regole”, fuori dagli schemi… com’è Jean Valjean che è tutto: un santo e anche un vero galeotto. Sono rimasto colpito dall’atteggiamento di Franco Branciaroli, (che devo ringraziare anche per l’incontro con Doninelli), dalla sua disponibilità, l’impegno, il pudore e la sensibilità con cui propone e suggerisce… Branciaroli è un grande “strumento”, la quintessenza dello strumento, uno dei rari attori che si mette completamente a disposizione del lavoro».
dal romanzo di Victor Hugo
con Franco Branciaroli
e con Alessandro Albertin, Filippo Borghi, Federica De Benedittis, Emanuele Fortunati,
Ester Galazzi, Andrea Germani, Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio,
Maria Grazia Plos, Valentina Violo
scene Domenico Franchi
costumi Andrea Viotti
luci Cesare Agoni
musiche Antonio Di Pofi
regia Franco Però
Biglietterie
Cagliari / Teatro Massimo
La biglietteria Cedac è aperta solo nei giorni di spettacolo.
Sassari / Teatro Comunale
Inizio spettacoli ore 21.00