Archivio stagione 2012/2013
LA SOFFERENZA INUTILE
Benvenuti – Armunia
LA SOFFERENZA INUTILE
liberamente tratto da “La rivolta”
di Fedor Dostoevskij
di e con
Leonardo Capuano
assistente alla regia
Elena Piscitilli
luci
Corrado Mura
Benvenuti – Armunia
LA SOFFERENZA INUTILE
di
Leonardo Capuano
“La rivolta” è un capitolo del romanzo I fratelli Karamàzov di Fedor Doastoevskij, l’odine dei capitoli nell’opera letteraria è il seguente: I fratelli fanno conoscenza, la rivolta, Il grande inquisitore. In questi tre passi del romanzo, Ivan Karamazof esprimerà la sua natura, il suo credo, le sue teorie. Metterà in discussione l’esistenza di Dio, il mondo da lui concepito, si dichiarerà ateo e dichiarerà il libero arbitrio come unica scelta possibile. Si spingerà ancora oltre con Il grande Inquisitore dichiarando il fallimento di Cristo che, con il dono della libertà dato agli uomini, non ha fatto altro che renderli infelici. Motivo del dissidio con Dio, di tutto questo ragionamento ,di tutto questo parlare, di tutte queste teorie, il perché di queste scelte sta nel capitolo “La rivolta”. La rivolta parla della sofferenza inutile: la sofferenza degli innocenti dei bambini,(uno dei temi fondamentali per Dostoevskij), le atrocità, le crudeltà su questi esseri indifesi sono il punto di rottura, sono un’ ingiustizia intollerabile, illogica, incomprensibile, priva di ogni possibile significato, da qualsiasi parte la si guardi essa apparirà solo mostruosa ed inaccettabile. L’esistenza di tale sofferenza è il motivo della ribellione di Ivan.(Albert Camus usando la stessa tematica scriverà La Peste) Ivan racconta ad Alioscia, che ha scelto di diventare frate, una serie storie che parlano di agghiaccianti crudeltà inferte a poveri bimbi indifesi, conducendo così il fratello in una zona buia dove non vi è niente di divino a parte quegli esseri indifesi che vengono puniti ingiustamente. Nel romanzo questo lungo dialogo ha luogo in una taverna dove i fratelli si incontrano quasi per caso, cenano insieme si conoscono rivelandosi quel che attraversa il loro animo.
Lo spettacolo è l’ incontro tra i due fratelli come Ivan lo immagina : siamo nella sua immaginazione, immaginazione generata dal desiderio di poter esprimere il suo pensiero, dalla febbre di dar sfogo al suo sgomento ed alle ombre che lo abitano. Che suo fratello veda, che ascolti di quale abominio si tratta, che la sua innata dialettica possa innescare il dubbio, che i dubbi finalmente prendano forma, diventino azione, atto visionario e rivelatore. La fantasia di Ivan piano piano appare e diventa concreta sulla scena. Non vi è niente di realistico, il linguaggio è visionario, una esposizione del suo pensiero che non solo le parole sono in grado di esprimere, Ivan approfitta dei segni ,dei simboli: un coltello, la violenza ,una bottiglia, l’anestetico, una piccola barca, una mela, un tulle nero che copre tutto, che si appiccica addosso, una colpa sempre presente che fa inciampare, che si deve spostare per avanzare, un confessionale dove si intravede Alioscia perché l’esposizione necessita non solo di un interlocutore ma di un complice . Egli ne farà parte e sarà al servizio di questa, sarà il novizio che è ma anche altro, reciterà la bestialità umana; i segni verranno ribaltati per verificarne la resistenza ed insieme il limite. Fino a tornare al motivo del dissenso, della rivolta, alla sofferenza inutile, ai bambini. I lamenti di Giobbe saranno le ultime parole dette da i Ivan per dichiarare il suo sgomento e l’esposizione immaginaria finirà.
La religione, la scienza, l’ideologia, la vecchia ed immemorabile saggezza, e cosi pure il buon senso, ci impongono di accettare che gli innocenti soffrano o muoiano. La protesta che esprime Ivan: il rifiuto a dare un assenso all’ordine delle cose, alla sua logica distruttrice, appariranno sicuramente vani. Se da qualche parte esiste una verità che risponde al nome di Natura o Dio essa esige che gli innocenti soffrano, come andare contro la verità? Nell’indignazione di Ivan, nella sua rivolta vi è qualcosa di sacro. Ciò che in Ivan insorge è proprio ciò che di divino è nell’uomo.
Leonardo Capuano