Archivio stagione 2013/2014
“La torre d’avorio” di Ronald Harwood con Luca Zingaretti (che firma anche la regia) e Massimo De Francovich a Sassari e Cagliari
CeDAC
XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo
Questa è la nostra Stagione
Stagione di Prosa 2013/2014
Zocotoco
La torre d’avorio
di Ronald Harwood
domenica 23 e lunedì 24 febbraio 2014 – ore 21 / SASSARI – Nuovo Teatro Comunale
da mercoledì 26 febbraio> a domenica 2 marzo 2014 / CAGLIARI – Teatro Massimo
mercoledì 26 febbraio 2014 – ore 20.30 / Turno A
giovedì 27 febbraio 2014 – ore 20.30 / Turno B
venerdì 28 febbraio 2014 – ore 20.30 /Turno C
sabato 1 marzo 2014 – ore 20.30 / Turno D
domenica 2 marzo 2014 – ore 19 / Turno E
Il dilemma tra arte e politica ne “La torre d’avorio” di Ronald Harwood, con la regia di Luca Zingaretti, anche protagonista sulla scena insieme a Massimo De Francovich: la pièce che rievoca le accuse di collaborazionismo con il regime nazista mosse al grande direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler alla fine della seconda guerra mondiale debutterà in prima regionale domenica 23 febbraio e (in replica) lunedì 24 febbraio alle 21 al Nuovo Teatro Comunale di Sassari per la Stagione di Prosa 2013-14 del CeDAC nell’ambito del XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo.
La tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC proseguirà da mercoledì 26 febbraio alle 20.30 fino a domenica 2 marzo (da mercoledì a sabato alle 20.30 e domenica alle 19) nel cartellone de “La Grande Prosa al Teatro Massimo” di Cagliari per una riflessione sulla libertà d’espressione e il senso sociale dell’arte, l’amore per la bellezza e la responsabilità dell’artista
INCONTRO CON GLI ARTISTI
“Oltre la Scena/ Gli attori raccontano…”:venerdì 28 febbraio alle 18Luca Zingaretti e Massimo De Francovich e la compagnia saranno protagonisti al Cinema Odissea in viale Trieste 84 a Cagliari nel consueto incontro con il pubblico per una riflessione fra teatro e società – INGRESSO LIBERO (fino a esaurimento posti)
Tra cinema e teatro:
A Cagliari – per la rassegna Schermi e Sipari/ “La grande prosa” al Cinema Odissea lunedì 24 febbraio alle 17e domenica 2 marzo alle 11 nella sala di viale Trieste 84 si proietta “A torto o a ragione”, il film di István Szabó tratto dalla pièce di Harwood, e interpretato da Harvey Keitel nel ruolo del maggiore Steve Arnold e Stellan Skarsgård in quello di Wilhelm Furtwängler.
COMUNICATO del 21.02.2014
Si alza il sipario su “La torre d’avorio”, avvincente pièce di Ronald Harwood (autore del celebre “Servo di scena”) che racconta il drammatico scontro tra due opposte visioni del mondo prendendo spunto dall’infamante accusa realmente rivolta a Wilhelm Furtwängler, il grande direttore d’orchestra tedesco, di aver indirettamente “collaborato” con il regime nazista per aver scelto di restare in Germania negli anni più bui e tragici della sua storia. Una decisione difficile e per certi versi pericolosa, resa possibile dal suo immenso prestigio – che lo proteggeva da eventuali rappresaglie per le affermazioni fortemente critiche in particolare sulle discriminazioni e persecuzioni contro gli ebrei – motivata dal non voler tradire la bellezza né privare il suo popolo della cultura. Una linea di condotta comprensibile e coerente per un uomo che aveva dedicato la propria esistenza all’arte ma interpretabile, per esempio dal brutale maggiore Arnold, incaricato dell’inchiesta, come un segno di cedimento se non di simpatia nei confronti del Führer e dei suoi gerarchi, anche per aver rappresentato l’eccellenza germanica agli occhi del mondo, contribuendo all creazione dell’immagine distorta di una presunta superiorità e perfezione della stirpe ariana.
“La torre d’avorio” – il cui titolo originario, “Taking Sides” ovvero schierarsi, prender partito segnala l’importanza dell’impegno, specialmente degli intellettuali, e di chi per il suo ruolo pubblico possa rappresentare un esempio per i cittadini – debutterà in prima regionale domenica 23 febbraio, in replica lunedì 24 febbraio alle 21 al Nuovo Teatro Comunale di Sassari per la Stagione di Prosa 2013-14 del CeDAC nell’ambito del XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo, e sarà poi da mercoledì 26 febbraio alle 20.30 fino a domenica 2 marzo (da mercoledì a sabato alle 20.30 e domenica alle 19) nel cartellone de “La Grande Prosa al Teatro Massimo” di Cagliari firmata CeDAC.
Protagonisti sulla scena Luca Zingaretti, che firma anche la regia, nel ruolo del maggiore Steve Arnold, l’ufficiale americano insensibile al fascino dell’arte e della cultura cui è affidata l’istruttoria, e Massimo De Francovich, nei panni sicuramente scomodi di un Wilhelm Furtwängler accusato di essersi reso complice del regime, mettendo il proprio indiscusso talento al servizio di un’ideologia distopica e feroce. Completano il cast de “La torre d’avorio”, nell’allestimento di Zocotoco, con la bella traduzione di Masolino D’Amico, Paolo Briguglia, con Gianluigi Fogacci, Francesca Ciocchetti e Caterina Gramaglia, mentre le scenografie di Andrè Benaim e i costumi di Chiara Ferrantini, sottolineati dal disegno luci di Pasquale Mari, suggeriscono le atmosfere sospese di un irrituale processo alle intenzioni, nello scontro tra un uomo in divisa incapace di apprezzare il fascino della musica classica e dunque di inchinarsi davanti al genio di uno dei più grandi direttori del Novecento, e il grande maestro tedesco.
Il nodo centrale – se sia compito dell’artista prendere apertamente posizione, schierandosi contro le ingiustizie e l’orrore, o magari scegliendo un volontario esilio pur di non soggiacere e non mescolarsi con un potere efferato; o se l’arte, e in generale la cultura, appartengano a una sfera diversa, e possano esercitare la loro influenza sugli animi indipendentemente dalle qualità umane e dai comportamenti di chi ne è interprete – resta irrisolto. Harwood chiama il pubblico a farsi giudice, o meglio a interrogarsi sui diritti e i doveri di tutti gli esseri umani di fronte alla storia: il punto di vista dei vincitori prevale su quello dei vinti, e una valutazione degli eventi a posteriori, quando tutta la verità sull’orrore è stata rivelata, non può forse applicarsi retroattivamente a chi si è trovato a scegliere in condizioni difficili, e ha cercato di fare del proprio meglio in tempi inusuali.
Il maggiore Arnold/ Luca Zingaretti e il maestro Wilhelm Furtwängler/ Massimo De Francovich incarnano le due contrapposte visioni, in un duello di personalità sul tema cruciale – se sia ammissibile convivere con un incubo, semplicemente concentrandosi sul senso della bellezza, astraendosi dalla realtà politica e sociale, o se sia indispensabile prendere posizione, e nessun testimone possa dirsi innocente o estraneo ai fatti. Ciascuno di loro è espressione di una differente sensibilità: per il primo contano solo i fatti e le azioni concrete, e non vi sono eccezioni basate sulle capacità e sul talento, tutti devono fare la loro parte; il direttore d’orchestra, inopinatamente sotto processo – per quanto avesse preso apertamente le distanze dal regime, e privatamente avesse cercato di aiutare colleghi e conoscenti, ma anche semplici sconosciuti, a sottrarsi alle persecuzioni – costretto a scendere dal piedistallo e a cercare di giustificare le proprie scelte, mostra, ma solo fino a un certo punto, la propria umana fragilità, senza peraltro rinunciare a difendere il proprio ideale di un’etica e un’estetica intangibili, al di là del bene e del male.
Alfiere della bellezza, Furtwängler era stato, suo malgrado, una stella di prima grandezza negli anni del caduto regime, ma anche un faro nella notte della ragione in cui era precipitata la Germania, e l’Europa intera; aveva cercato di usare il proprio ascendente per perorare la causa degli artisti e musicisti ebrei, in nome del principio che una grande nazione non possa rinunciare ai suoi migliori e più preziosi talenti; ed era stato a un certo punto costretto a “prendersi una vacanza” per non diventare a propria volta una vittima della follia nazista.
Agli occhi di Arnold, i meriti in campo artistico e culturale non hanno peso, o rappresentano semmai pericolose aggravanti; e mentre l’ufficiale continua a cercare le prove di una più diretta compomissione, se non di un legame di Furtwängler con Adolf Hitler e i suoi gerarchi, partendo dalle chiare dimostrazioni di stima e ammirazione di quell’enclave di melomani, sfilano i testimoni.
I racconti – veri o falsi, spontanei o estorti – rappresentano altrettante tessere di un mosaico il cui disegno resta però ambiguo, come per certi versi ambivalente è stato il comportamento del maestro nella strenua difesa della sua arte. La rozza ferocia e aggressività dell’ufficiale americano sembra far pendant con quelle dei nazisti, in una cieca e insensata brama di distruzione: si cerca il capro espiatorio, la punizione esemplare, da presentare al mondo come simbolo della purezza e delle ragioni dei vincitori, da un lato, e quindi dall’altro delle colpe dei vincitori. La logica perversa della guerra – già denunciata da Eschilo nei suoi “Persiani” – non ammette chiaroscuri, confini incerti tra il bene e il male: sulle macerie delle città distrutte, sulle tombe dei caduti e in questo caso tra i fantasmi di milioni di morti, vittime di un genocidio, si cerca di costruire una pace durevole, seppure “in armi” come si scoprirà poi, non c’è posto per dubbi e esitazioni. Tra i più interessanti e apprezzati drammaturghi del Novecento, Ronald Harwood – sudafricano di origine ebraiche, appassionato di musica classica – sembra trovarsi nella posizione ideale, quasi super partes per esprimere un giudizio a posteriori su Furtwängler e il nazismo. Ma il compito del teatro è interrogarsi sul presente e sulla storia, sulla natura umana e le sue debolezze, dar voce all’inquietudine: “La torre d’avorio”/ “Taking Sides” non offre risposte ma sollecita una riflessione sul presente e sul passato, sull’astrazione intellettuale e la necessit di immergersi nel fango e “sporcarsi” con gli aspetti concreti dell’esistenza. Un dilemma irrisolto. Un enigma affascinante cui ognuno può e deve dare risposta.
EVENTI COLLATERALI:
“Taking Sides” fra teatro e cinema: a Cagliari – per la rassegna Schermi e Sipari/ “La grande prosa” al Cinema Odissea organizzata da Spazio 2001 in collaborazione con il CeDAC, lunedì 24 febbraio alle 17 e domenica 2 marzo in matinée alle 11 al Cinema Odissea (in viale Trieste 84) si proietta “A torto o a ragione”, il film di István Szabó tratto dalla pièce di Harwood, e interpretato da Harvey Keitel nel ruolo del maggiore Steve Arnold e Stellan Skarsgård in quello di Wilhelm Furtwängler.
INFO: Tel/Fax: 070 271709 – Email: spaziodissea@gmail.com | info@cinemaodissea.it
INCONTRO CON GLI ARTISTI
Prosegue il ciclo di incontri “Oltre la Scena/ Gli attori raccontano…”: venerdì 28 febbraio alle 18Luca Zingaretti e Massimo De Francovich e la compagnia saranno protagonisti al Cinema Odissea in viale Trieste 84 a Cagliari per un appuntamento con il pubblico e la città, in cui si discuterà – in maniera informale – dello spettacolo e dei personaggi, del mestiere dell’attore, del ruolo sociale dell’arte e del teatro come spazio di riflessione sull’uomo, la cultura e la società.
INGRESSO LIBERO (fino a esaurimento posti)
INFO & BIGLIETTI
SASSARI/ Nuovo Teatro Comunale
Carnet per 5 spettacoli
Biglietti
primi posti: intero €18 – ridotto €15
secondi posti: intero €15 – ridotto €13
* tariffe scontate Arci, Endas, Cral aziendali, Carta giovani, Over 65
info: 339 1560328 – circuitoteatralesardo@gmail.com – www.cedacsardegna.it
CAGLIARI/ Teatro Massimo
Biglietti
Serali intero ridotto
primo settore intero € 30 – ridotto € 24
secondo settore intero € 25 – ridotto € 19
loggione intero € 15 – ridotto € 10
Biglietteria: cell. +39 345.4894565 – biglietteria@cedacsardegna.it –
info cedac@cedacsardegna.it – www.cedacsardegna.it
per l’Ufficio Stampa del CeDAC/ Sardegna:
Anna Brotzu – cell. 328.6923069 – cedac.uffstampa@gmail.com
SCHEDA DELLO SPETTACOLO
Zocotoco
La torre d’avorio
di Ronald Harwood
traduzione Masolino d’ Amico
con Luca Zingaretti e Massimo de Francovich
e con Paolo Briguglia,
e Gianluigi Fogacci, Francesca Ciocchetti, Caterina Gramaglia
scene Andrè Benaim
costumi Chiara Ferrantini
luci Pasquale Mari
regia Luca Zingaretti
Berlino 1946. E’ il momento di regolare i conti, e la cosiddetta denazificazione – la caccia ai rsostenitori del caduto regime – è in pieno svolgimento. Gli alleati hanno bisogno di prede illustri, di casi esemplari che diano risonanza all’iniziativa. Viene così convocato, nel quadro di una indagine sulla sua presunta collaborazione con la dittatura, il più illustre esponente dell’alta cultura tedesca, vale a dire il direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler, universalmente acclamato accanto a Toscanini come il maggiore della prima metà del secolo. Furtwängler non era stato nazista, e anzi non aveva nascosto di detestare le politiche del Terzo Reich; era anche riuscito a non prendere mai la tessera del partito. Ma nel buio periodo dell’esodo di molti illustri intellettuali che avevano preferito trasferirsi all’estero piuttosto che continuare a lavorare in condizioni opprimenti, era rimasto in patria, e aveva svolto la sua attività in condizioni privilegiate. Aveva scelto, in tempi durissimi, di tenere accesa la fiaccola dell’arte e della cultura, convinto che questa non abbia connotazione politica; e aveva sfruttato il suo prestigio per aiutare, all’occorrenza, persone perseguitate o emarginate. Si era anche scaricato la coscienza barcamenandosi per esibirsi nel minor numero possibile di occasioni ufficiali; pur di non stringere la mano a Hitler, in una occasione famosa e fotografata, aveva fatto in modo di continuare a impugnare la bacchetta con la destra. Dai suoi compatrioti, quasi tutti melomani, era sempre stato venerato alla stregua di una divinità super partes, e anche dopo la fine della guerra nessun tedesco si era sentito di addebitargli alcunché.
Ma ecco ora che i vincitori vogliono vederci chiaro, e se possibile far crollare anche questo superstite mito della superiorità germanica. Consapevoli del fascino che il grande artista esercita su tante persone, essi affidano l’indagine a un uomo che dà ogni garanzia di esserne immune: un maggiore dell’esercito che detesta la musica classica, venditore di polizze assicurative nella vita civile e quindi molto sospettoso nei confronti del prossimo; un plebeo che disprezza le sdolcinatezze borghesi; un giustiziere sacrosantamente indignato dalle ingiustizie e dalle atrocità che ha visto perpetrare in questa corrottissima zona dell’Europa; soprattutto, un americano convinto nell’eguaglianza di tutti gli uomini sia nei diritti sia nelle responsabilità.
Ronald Harwood – l’autore del da noi sempre riproposto “Servo di Scena”, ma poi anche di numerosi altri testi teatrali, letterari e cinematografici (uno dei quali, la sceneggiatura del “Pianista” di Roman Polanski, premiato con l’Oscar) – è contemporaneamente ebreo, appassionato di musica (ha scritto una commedia su Mahler, un romanzo su César Franck) e sudafricano: in grado quindi sia di guardare il contegno di Furtwängler con gli occhi critici di una delle vittime, sia la tracotanza del filisteo maggiore Arnold con quelli di qualcuno per cui l’arte sia un bene supremo e irrinunciabile, sia l’atteggiamento dei vincitori dalla prospettiva di uno di loro ma che non è coinvolto come loro. Lo scontro tra due avversari così diversi e così poco disposti a capirsi – soprattutto, ciascuno dei quali è convinto delle proprie ragioni – offre teatralmente quello che nella boxe è considerato il match ideale, tra il picchiatore e lo schermidore; tra coloro che assistono, variamente coinvolti, un paio offrono testimonianze ambigue, che potrebbero andare sia a carico sia a discarico dell’imputato. Del resto l’episodio è storico, all’epoca Furtwängler fu veramente indagato e in qualche misura umiliato, e se le accuse poi caddero la sua immagine pubblica non recuperò più del tutto la limpidezza di una volta. Il suo caso suscita interrogativi che nessuna formula sembra aver risolto ancora oggi, e assai modernamente l’autore non propone risposte, ma sollecita ogni spettatore a dare la sua. Con un regime infame non si deve collaborare, questo è ovvio. Ma svolgere un’attività artistica equivale a collaborare? Per qualcuno, sì: si contribuisce a dare un’immagine positiva di un Paese che invece è marcio. Per qualcun altro, no: se mostri l’arte, la bellezza, ai tuoi concittadini per quanto oppressi, aiuti a tener vivo in loro qualcosa che un giorno potrebbe aiutarli a riprendersi. In molti casi la questione può essere risolta dalla coscienza individuale: se non voglio i soldi, mettiamo, di quel tale editore le cui posizioni politiche non condivido, posso pubblicare con qualcun altro. Ma quando si tratta di un personaggio così rappresentativo che le sue scelte costituiscono un esempio per tutti?
La commedia debuttò a Londra nel 1995 per la regia di Harold Pinter, e fu ripresa a New York e in molte altre città. Il titolo originale, “Taking sides”, significa letteralmente “Schierarsi”: non un gran che in italiano, meglio comunque di quello appioppato al film di Istvan Szabò del 2001 (con Harvey Keitel e Stellan Skarsgård), “A torto o a ragione”). Proponendo di renderlo come “La torre d’avorio” si è voluto alludere alla condizione di orgoglioso isolamento che l’artista crede, forse a torto, di potersi permettere sempre.
Masolino d’Amico