Liberamente tratto da LE ASSAGGIATRICI di Rosella Postorino
uno spettacolo di Sandro Mabellini
drammaturgia Gianfranco Pedullà, Rosella Postorino
con Silvia Gallerano, Alessia Giangiuliani
fisarmonica e voce Marlene Fuochi
musiche originali Francesco Giorgi
scenografia Giovanna Mastantuoni
costumi Veronica Di Pietrantonio
produzione Teatro popolare d’arte
♦ Sanluri, Teatro Comunale Akinu Congia – 11 febbraio ore 20.30
♦ Cagliari, Teatro Massimo – 12 febbraio ore 20:30
♦ Nuoro, BocheTeatro – 13 febbraio ore 20.30
♦ Olbia, CineTeatro – 14 febbraio ore 21
♦ Meana Sardo, Teatro San Bartolomeo – 15 febbraio ore 21
Il romanzo Le Assaggiatrici, uscito a gennaio 2018, vince il Premio Campiello.
La storia si ispira alla vita di Margot Wolk, storica assaggiatrice di Adolf Hitler nella caserma di Krausendorf: il Führer, come ben noto, era paranoico ed aveva l’ossessione di essere avvelenato, per questo aveva bisogno di qualcuno che assaggiasse per lui il cibo, prima di poterlo mangiare. Nel romanzo viene raccontata la storia di Rosa Sauer, una donna fragile e incapace di reagire come molti alle violenze e ai soprusi del periodo nazista. Durante l’inverno del ‘43 la giovane ventiseienne è ospite dei suoceri a Gross Partsch, un piccolo paese della Prussia orientale, per sfuggire da una Berlino bombardata e alla solitudine dell’avere il marito Gregor a combattere al fronte russo. Il paese si trova in prossimità di quella che veniva chiamata la Tana Del Lupo, ossia il quartier generale del Führer, ben nascosto e mimetizzato all’interno della foresta. Su segnalazione del Sindaco, grande estimatore di Hitler, Rosa insieme ad altre nove giovani donne, viene obbligatoriamente reclutata per diventare un’assaggiatrice.
La giovane non era felice del compito assegnatole, non era spinta da nessuna ideologia politica ma diceva di avere fame e tre pasti in questo modo le venivano assicurati ogni giorno, insieme a duecento marchi di compenso. Quando le SS ordinarono di mangiare la giovane Rosa non pensò a nulla, se non solo alla fame vissuta per tutto il periodo della guerra e divorò veracemente tutto ciò che le venne messo nel piatto. Sì, perché ogni pasto poteva essere l’ultimo, ogni boccone avrebbe potuto essere letale; dopo aver consumato il cibo Rosa e le altre assaggiatrici rimasero per un’ora all’interno della mensa sorvegliate speciali dalle guardie, che ne osservarono scrupolosamente i comportamenti, per accertarsi che il cibo rivolto ad Hitler non fosse avvelenato.
Rosa sapeva che ogni giorno avrebbe potuto non tornare a casa, non era felice, ma non riusciva ad opporsi; per lei quel cibo, anche se potenzialmente avvelenato, era sopravvivenza. All’interno della mensa dove le assaggiatrici consumavano i pasti, il tempo passava e i giorni diventavano mesi; tra le giovani si crearono rapporti d’amicizia, patti segreti ed alleanze. Rosa si scoprì ancora più fragile e bisognosa dell’approvazione delle compagne, che l’avevano soprannominata la “Straniera di Berlino”.
Nella primavera del ‘44 arrivò in caserma un nuovo comandante, Albert Ziegler, che instaurò fin dal primo giorno un clima di terrore e ingiustizia; inaspettatamente tra lui e Rosa nacque un legame speciale, che poi diventò una vera e propria storia d’amore.
La storia di Rosa è anche una storia sull’assenza dell’amore, sentimento violentato dalla storia, che spinge i protagonisti verso una vita esclusivamente materiale, di pura sopravvivenza. In questo senso le figure maschili sono tanto assenti quanto disperate.
Rosa diceva: «da tempo mi trovavo in posti in cui non volevo stare, e accondiscendevo, e non mi ribellavo, e continuavo a sopravvivere ogni volta che qualcuno mi veniva portato via. La capacità di adattamento è la maggiore risorsa dell’essere umano, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana.» Questo descrive tutto il conflitto interiore che la protagonista viveva ogni singolo giorno: era il male che soccombeva al bene o era la fame che soccombeva al male?
L’Assaggiatrice di Hitler racconta una storia drammatica senza scadere mai nella banalità, l’intento drammaturgico e della messa in scena è quello di creare uno spettacolo evocativo dove due sole attrici interpretano – suggerendoli – tutti i personaggi, in modo da lasciare allo spettatore la libertà di immaginarli. La messa in scena vuole creare una sintesi vitale fra tutti i linguaggi scenici: drammaturgia della parola, corpo e voce delle attrici, ambientazioni sonore, suggestioni visive.