con
Geppy Glejeses, Lello Arena, Marianella Bargigli
adattamento e regia Geppy Glejeses
Teatro Stabile di Calabria
Teatro Quirino Vittorio Gasmann
Lo Scarfalietto o “Lo Scaldaletto” è “la più divertente commedia napoletana di tutti i tempi”. Geppy Gleijeses ha indagato dal 2001 ad oggi la contemporaneità allucinata della drammaturgia napoletana con Le cinque rose di Jennifer di Annibale Ruccello e Ragazze sole con qualche esperienza di Enzo Moscato per risalire a Eduardo De Filippo, suo maestro (Ugo Ronfani su Il Giorno dichiara: “Geppy Gleijeses dimostra in scena di essere l’erede di Eduardo”), interpretando Io, l’erede per tre stagioni e ora Ditegli sempre di sì al suo secondo anno di repliche. Questi quattro spettacoli hanno ricevuto ogni sorta di premio, dagli Olimpici ETI, al premio Accademico Le Muse di Firenze, dal Premio Persefone, al Premio Salvatore Di Giacomo, ecc e sono stati visti da almeno 300.000 spettatori in teatro e tanti di più in televisione con un successo sempre crescente. Si torna ora alle origini, al padre naturale di Eduardo De Filippo, a quell’Eduardo Scarpetta che riformò il teatro comico napoletano, sostituendo la maschera di Pulcinella con il borghesuccio Felice Sciosciammocca, con il suo bastoncino di canna, le scarpe lunghissime, il mezzo tubo e il fracchettino che anticipò Charlot.
Lo spettacolo, che sarà recitato in un napoletano assolutamente comprensibile, sarà un trionfo di scene (3 diverse, la casa di Felice, il teatro Mercadante e il tribunale) e costumi con 13 attori di grande professionalità, giovani e meno giovani.
In due parole, la trama: Amalia e Felice, freschi sposi, litigano per qualsiasi banalità. Stavolta è la rottura di uno scaldino nel letto nuziale a provocare il finimondo, con convocazione di avvocati e richieste di separazione. Alle liti violente assiste Gaetano Papocchia, buffo carattere di anziano pretendente che capita in casa della coppia per affittare un “quartino” destinato alla soubrette Emma Carcioff, per cui da tempo spasima. Nel secondo atto Amalia e Felice inseguono in teatro Papocchia per convincerlo a testimoniare, ognuno a proprio favore, innescando ogni sorta di equivoco e facendo miseramente fallire le “prove” in corso.
Nel terzo atto, ambientato in tribunale, il delirio è totale e culmina con la celebre arringa dell’Avvocato Anselmo Raganelli ovvero don Anselmo Tartaglia, di cui, a mo’ d’esempio, citeremo due battute:
ANSELMO: Quello che ha detto la Paparella, ci prova tutta la sua coppola… la sua colpa, e ‘a Parrocchia ‘e San Gaetano… e il Papocchia signor Gaetano, uomo impotente… uomo imponente e incapace di mentire, poco fa’ ci ha detto che quarant’ova p’a frittata c”o caso… che quando andò a fittarsi la casa, vide che il signor Sciosciammocca se cuccava ‘a state cu ‘a provola mmocca
FELICE: Io me cuccavo cu ‘a provola mmocca?
ANSELMO : Si contrastava con la propria moglie.
Eduardo Scarpetta nacque da una famiglia della media borghesia napoletana il 13 marzo 1854 nel popolare quartiere di Toledo. Il padre lo condusse precocemente a teatro (al San Carlino dove si esibiva il grande < > Antonio Petito e ai Fiorentini dove si rappresentava il teatro “serio”), facendogli conoscere anche molti attori. La grave malattia e la morte del genitore (’68)obbligarono il ragazzo a lasciare gli studi e a cercare lavoro; che trovò naturalmente sul palcoscenico, all’età di soli quattordici anni, interpretando parti di <>. Cominciò così la sua carriera teatrale, passò poi da una Compagnia all’altra finché nel ’70, rappresentando per la prima volta il personaggio di Felice Sciosciammocca, a cui sarà legata la sua popolarità, ottenne una scrittura dall’impresario del San Carlino. Costui lo invitò a scrivere riduzioni dialettali dal teatro francese e italiano, e anche farse, una delle quali (Quinnece solde so’ cchiu’ assai de seimila lire) fu portata al successo dallo stesso Petito nel ’76.
In seguito alla morte del Petito e dell’impresario, il San Carlino dovette chiudere (’77) e Scarpetta si trovò nella necessità di dare vita a una formazione propria, nonostante le difficoltà che gli procurarono i raggiri di molti impresari e la bizzarria dei guitti. Vide la sua fama consolidata da commedie come Don Felice maestro di calligrafia del ’77 (poi intitolata Lu curaggio de nu pompiere napulitane) facendosi applaudire, oltre che a Napoli, anche a Roma e a Milano (dove recitò, con Ferravilla ed Emma Ivon, Nu milanese a Napule nel 1880). Finalmente, dal 1880 al 1884 potè realizzare il suo sogno: riaprire il glorioso San Carlino con un repertorio che aboliva la recitazione a soggetto e le maschere, con una Compagnia tutta nuova e bene addestrata, con allestimenti puntigliosi e degni del repertorio in lingua più collaudato. È la riforma del teatro popolare napoletano fondata sul secolare mestiere degli attori e sulla pratica scenica, organizzati secondo l’ordine di strutture drammaturgiche ricavate dalla commedia borghese. Del resto gli stessi soggetti (quelli originali come quelli desunti per riduzione e traduzione da testi francesi o italiani) hanno per tema l’osservazione del comico proprio all’interno della borghesia. Tra le opere che in questo periodo destarono grandi entusiasmi: La presentazione di una compagnia comica (’80) ‘O Scarfalietto, tratto da La boule di Meilhac e Haley e Tre pecore viziose da Le procès Veauradier di Hennequin (’81). Nell’88 l’originale Miseria e Nobiltà e nell’89 ‘Na Santarella.