tratto dal romanzo “Sos Sinnos”

di Michelangelo Pira

di e con Giovanni Carroni

musiche originali in scena Gavino Murgia

regia e scene Giovanni Carroni

Bocheteatro

 

 

Pubblicato postumo nel 1983 (ed. Della Torre, Cagliari), a tre anni dalla morte prematura dell’autore Michelangelo Pira, intellettuale che ha lasciato un grande vuoto nella cultura isolana, Sos sinnos (i segni) rimane il tentativo più importante di usare la lingua sarda – nella variante bittese – per un’opera di respiro mondiale, che facesse propri gli esiti più importanti della letteratura e delle scienze umane del ‘900.

Raccolti e ordinati da Bachisio Bandinu i materiali sono scanditi in cinque parti. Con un percorso di derivazione analitica, la prima (Su tempus de su parpu e de s’arrastu – Il tempo del tasto e del fiuto) segna il passaggio dall’immateriale alla natura, e all’incarnazione nell’umano, con la coscienza del vivente che esprime versi inarticolati. Questi poi, lentamente, si fanno parola e poi scrittura, ma a-semantica, quasi geroglifica, che solo su deinu – l’indovino, che dà il titolo alla seconda parte – sa interpretare.

Nelle due parti seguenti, Pira entra dunque nell’universo dei personaggi e de sos contos – i racconti – del suo paese, Bitti. Avendo ben presenti i rischi del realismo e del folclorismo, il mondo pastorale narrato da Pira anche nell’aneddoto (Milianu, Emiliano) assume una forte carica simbolica.

Nell’ultima parte, più apertamente, Pira stesso si fa personaggio del mondo che racconta, e in una progressione visionaria chiama l’umanità perduta del proprio villaggio e del mondo intero a tornare sa Libra, malgrado sia una crastazza, una pietraia buona solo per le capre. Sa Libra è il luogo simbolico di una perduta pienezza dell’umano, gana de ponnere raichinas in dunu locu prezisu, gana de aer zente de arrejonare, e zente e cosas de toccare, ca su ider’e intendere zente chi bivet in campanar de vridu no mi basta’prusu. Su istare in totue est un’istare in neddue (voglia di mettere radici in un luogo preciso, voglia di gente con cui parlare, e gente e cose da toccare, perché vedere e sentire gente che vive in campane di vetro non mi basta più. Stare in ogni luogo è stare in nessun luogo).

Un progetto che esprime la volontà e la consapevolezza di rivendicare un’identità, di non disperdere una memoria dei valori e dei luoghi e di recuperare il senso di appartenenza ad una comunità; in altre parole, che dischiude un mondo nel quale ciascuno può ritrovarsi e riconoscersi.

Lo spettacolo ha inoltre l’obbiettivo primario di far uscire l’opera letteraria dal circolo chiuso in cui rischia di essere relegata per dargli finalmente una circolazione e divulgazione adeguata in Sardegna e nella penisola. E proprio la plurimedialità della comunicazione teatrale fornisce uno strumento di comprensione più immediato ma anche più approfondito del romanzo di Michelangelo Pira e raggiungere così il pubblico sardo che ancora non conosce l’opera.