Archivio stagione 2016/2017
Miseria&Nobiltà
Elsinor Centro di Produzione Teatrale
Miseria&Nobiltà
dal testo di Eduardo Scarpetta
scritto da Michele Sinisi con Francesco M. Asselta
con (in ordine alfabetico)
Diletta Acquaviva, Stefano Braschi, Gianni D’Addario,
Gianluca delle Fontane, Giulia Eugeni, Francesca Gabucci,
Ciro Masella, Stefania Medri, Giuditta Mingucci,
Donato Paternoster, Michele Sinisi
scene Federico Biancalani
costumi Gianluca delle Fontane
aiuto costumista Arman Avetikyan
aiuto regia Domenico Ingenito, Roberta Rosignoli
regia Michele Sinisi
Miseria e Nobiltà è prima di tutto un testo farsesco scritto da Eduardo Scarpetta sul finire dell’800. Ma in realtà nel tempo e nel suo stratificato percorso storico, con le facce e le maschere dei grandi interpreti del passato, è diventato molto di più fino ad approdare al territorio della memoria istintiva e ancestrale ; senza perdere il senso originario e mantenendo intatta la sua radice teatrale, la rappresentazione della vita segue le forme del tempo presente con tutte le dinamiche che la società ingloba e restituisce ogni giorno.
La storia di un povero squattrinato, Felice Sciosciammocca, che costretto a vivere di espedienti per rimediare a fatica un tozzo di pane, dà vita a una fitta tessitura di trovate dialogiche e di situazioni che rappresentano la summa dell’arte attoriale italiana e di quanto di meglio la storia del teatro (in particolare quella napoletana) abbia prodotto nel tenere il pubblico inchiodato alla sedia. Questo testo rappresenta la festa del teatro, quanto di più “Felice” un pubblico possa incontrare. Dalle platee Miseria & Nobiltà è poi migrato nel cinema, grazie al film di Mattoli, e nella tv creando veri e propri simboli e immagini vivide nelle memoria collettiva. Totò (lo Sciosciammocca più celebre) che mette in tasca gli spaghetti è divenuto una sorta di tatuaggio, materia di imitazione in gruppi di persone davanti al bar nella vita di tutti giorni.
Miseria & Nobiltà è un Mito, è un collante sociale la cui storia oggi è evocata da alcuni passaggi che tutti in Italia ricordano e sarebbero in grado di citare. “Vingenz m’è padre a me”, “lettera a lu compare nepote”, il momento degli spaghetti, Totò che fa il principe in casa di Semmolone, sono le battute di un ritornello che la platea teatrale ripeterebbe all’unisono con la scena, come succede ad un concerto di musica pop. Miseria & Nobiltà ritorna a quel testo del 1888 solo riscoprendosi rito nell’oggi con una straordinaria squadra di attori che s’impossessano della scena. Dice Sciosciammocca nell’ultimissima battuta della storia “Torno nella miseria, però non mi lamento: mi basta di sapere che il pubblico è contento.” Miseria & Nobiltà del mestiere del vivere recitando.
Note di regia
C’è tutta una grande strada, molto bella con cui noi attori cerchiamo in prova e in replica di sistemarci addosso le parole e le azioni, e contemporaneamente ce n’è un’altra attraverso la quale le storie le raccontiamo riconducendole totalmente a noi stessi o anche generandole a partire proprio da noi. Ogni possibilità sottende comunque il fatto che la nostra umanità sia la vera protagonista della scena, che ci siano o no maschere, testi, le emozioni o le interpretazioni, in presenza o meno di struttura, il dramma anche nel suo rifiuto finisce per farsi sentire, in forme imprevedibili si spera. Beh, per fare tutto ciò resta il fatto che in scena bisogna starci ed è praticamente sicuro che il tutto bisognerà ripeterlo per qualche altra recita, mi auguro: bisogna recitare, da qui non si scappa, se sei a teatro. In alternativa la vita nella verità è più forte e schiaccia la presunzione.
La farsa Miseria e Nobiltà è uno degli spartiti teatrali più affascinanti che un attore possa incontrare. È un fatto già conosciuto. Il dramma di questo testo sta nel suo percorso storico con le facce, le maschere, dei grandi interpreti del passato. Alcuni passaggi del testo sono un collante sociale: Mito. Tutto questo per me è Miseria e Nobiltà. È un dramma che sta contemporaneamente dentro e fuori la scena, un po’ come stare dentro e fuori dal personaggio, o da se stessi: è miseria e nobiltà del mestiere del vivere recitando.
Michele Sinisi
ESTRATTI DI RECENSIONI
“ …Vediamo tanto (troppo?) teatro che quando ci imbattiamo in un lavoro dove si unisce, e fiorisce, l’ingegno, l’inventiva, le capacità, la caparbietà, ma anche la semplicità e la sobrietà, le idee, e una visione precisa e una direzione chiara d’approdo come definirei questo “Miseria e Nobiltà” per la lucida percezione di Michele Sinisi, allora rimane soltanto un tempo sospeso nel quale fermarsi, attendere, alloggiare, far decantare, e poi, tornare a respirare. Questo è il teatro che vogliamo, quello che spinge, che pungola e stimola e al contempo accontenta palati e papille gustative, riempie gli occhi di temi e di colori, rimane fedele all’originale pur tradendolo continuamente ma in maniera così altruistica e sfacciata che è impossibile non volergli bene…”
Tommaso Chimenti – IL FATTO QUOTIDIANO
“…Interessante operazione quella di Michele Sinisi con Miseria&Nobiltà (produzione Elsinor), molto applaudita dal pubblico. Non c’è farsa ma lo sguardo su una condizione umana di programmatica falsità. Uomini e donne incapaci di relazioni normali e tutti dentro il gioco dell’artificialità tanto che gli attori, bravi, stanno sempre in scena anche quando non sono coinvolti nella scena, compreso il regista, e la recitazione è sopra le righe ed è inutile trovare una verità psicologica. Il risultato è limpido…”
Anna Bandettini – LA REPUBBLICA
“…Michele Sinisi alla regia è una garanzia nella sua ramificata curiosità. Mai pigra. Qui lasciandosi ispirare dalla commedia di Scarpetta, per uno spettacolo in equilibrio tra il rispetto e il trip d’autore, fra la tradizione e la sua rilettura. Lo spettacolo è una meraviglia che prende vita con i dialetti di tutta la geografia nazionale. Poiché pure la povertà (la miseria?) è ormai un patrimonio collettivo…”
Diego Vincenti – IL GIORNO
“… L’idea di accostarsi a Miseria&Nobiltà come a un emblema del trasformisimo, dell’artificio rappresentativo, è intelligente anche se non del tutto risolta. L’inizio risulta un po’ faticoso ma poi la freschezza della compagnia prende piede e la commedia funziona puntualmente dove è previsto che funzioni, pur senza perdere la sua cifra sospesa tra vita e finzione. Alla fine, perché questa sia dichiarata e scoperta, c’è la voce di Totò che pronuncia la battuta conclusiva “Torno nella miseria però non mi lamento, mi basta sapere che il pubblico è contento”…
Renato Palazzi – IL SOLE 24 ORE
“ … Sinisi affronta coraggiosamente il precedente vincolante, lo aggira – complice la ottima drammaturgia di Francesco M. Asselta – declinando il testo in una miriade di dialetti italiani, salvaguardando, però, il primato del pugliese madrelingua (di Sinisi, non della commedia che era tutta pregnatamente partenopea). Si tiene un tono leggero, divertente, commovente. Merito del cast, straordinario in ogni componente, in cui spicca specialmente Ciro Masella, da ricordare, che si destreggia ottimamente in coppia comica con un validissimo Gianni D’Addario. La scelta del finale è significativa: “fateci giocare”, “non ci rovinate la festa”, sembra dire il gruppo; fateci ancora sognare e commuovere con queste storie semplici e eternamente magiche…”
Andrea Porcheddu – GLI STATI GENERALI
“ … Nel ruolo di Peppiniello capocomico Sinisi estrae la vicenda da una botola, scatola magica dove attingere ai sogni e ricordi, segnando tempi e ritmi per il bel gruppo di attori (chapeau a Ciro Masella/Pasquale). Ognuno con il suo dialetto, senza costumi se non quelli esagerati richiesti dall’inganno in un continuo dentro e fuori che dichiara la finzione cercandone la verità. Ovvero la miseria e nobiltà di fare teatro …”
Sara Chiappori – LA REPUBBLICA MILANO
“… Si ride tanto, scivola giù come se fosse bevuto tutto d’un sorso, ma il sapore amaro in bocca prende sempre più piede man mano che la storia prosegue. La miseria è ben diversa dalla povertà e ce lo mostrano l’evoluzione della commedia così come alcuni gesti delle persone che stanno recitando a soggetto, anzi ci mostrano noi stessi. In che stato si ridurrebbe l’uomo se perdesse la dignità e la libertà? Questa farsa lo svela, lo fa senza giri di parole e alla fine sappiamo bene che si tratta di un affresco molto vicino a noi… Servendosi di cesure che richiamano il montaggio cinematografico, Sinisi scandisce il ritmo, sfruttando anche una botola, e come il bambino di “Nuovo Cinema Paradiso” conserva persino uno sguardo sognante. Sono gli occhi di chi guarda al di là della miseria umana (de)scritta e del luccichio della nobiltà e si perde nel gioco del teatro e del cinema, rimanendo, al contempo, attaccato alla realtà…”
Maria Lucia Tangorra – IL GIORNALE OFF
“… Quanta poesia in quella botola di luce, con cui l’eclettico regista costantemente duetta in modo quasi ipercinetico: ora facendosene scudo, ora facendola scattare, col suono sordo del ciak cinematografico, nell’irruente movimento di interazione con gli attori. La finzione scenica cade e nel gioco del meta teatro c’è spazio per libere variazioni sul tema e omaggi a altri film. Omaggio al cinema è anche lo schermo bianco su cui provano la celeberrima farsa di cui si racconta pure nella pellicola. E’ un altro pezzo di bravura attoriale e intelligenza registica, non da meno dell’intuizione di adottare un dialetto spinto – e non quello napoletano, come si si aspetterebbe, ma quello dei “padri”, appunto, e cioè il pugliese e, per converso, un emiliano, sconosciuto idioma del Nord Italia, che dice ipso facto di tutta la distanza culturale e antropologica, quasi, delle due “padrone di casa” costrette comunque a convivere in quella situazione di disagio.
Il risultato? Applausi a scena aperta …”
Francesca Romana Lino – FATTI DI TEATRO
In questo gruppo si apprezza la coralità, l’orizzontalità che Sinisi riesce a dare all’impianto narrativo che fa si che il contributo di ogni attore diventi essenziale al ritmo e allo svolgimento complessivo. Notevole si segnala l’interpretazione di Masella, vero e proprio metronomo dei ritmi scenici, ma le prove di qualità sono in realtà tutte. E benissimo funzionano anche le idee sceniche di Federico Biancalani, che con poco riesce a rileggere gli elementi della tradizione fino al finale disvelamento, al velo che si alza sulla finzione del teatro e dell’arte in generale, quello che serve a far ripensare al reale, al vero, senza nominarlo mai.
Renzo Francabandera|Vincenzo Sardelli – PANEACQUACULTURE
“…Si ride parecchio e con gusto in questo spettacolo merito indubbio anche di un testo che contiene in sé tutti i meccanismi più adatti a creare una comicità immediata nonché fervida di significati, che resistono ottimamente al tempo…Sinisi, come un vero e proprio deus ex machina, entra negli ingranaggi della messa in scena cambiando le luci, sottolineando i vari passaggi della storia, dando spessore a personaggi apparentemente secondari come Peppiniello, e imprimendo una svolta benefica al finale.
La forza dello spettacolo è infatti anche l’impiego di undici attori spesso encomiabili nel loro prodigarsi…”
Mario Bianchi – KRAPP’S LAST POST
“…Questo spettacolo potrebbe fare molta scuola, anche rispetto a quello che, finalmente, del vero Sud si racconta e si mostra. C’è tanto cinema, ma non quello strabusato, come avviene in altre riscritture dello stesso testo. Non è un caso che, nel mentre, dello stesso spettacolo si rida di gusto, senza farsi mancare la lacrima, niente affatto facile, ma che arriva al momento giusto. Perché i protagonisti risultano tutti ultimi, ma desiderosi di essere primi, semplici ma per niente ingenui nelle loro giuste rivendicazioni. Delusi ma non illusi. Sinisi è coaudiuvato da una squadra di attori tutti davvero eccellenti e che difficilmente si potranno scordare. Rimangono appiccicati addosso e ce li si porta insieme, uscendo dalla sala…”
Giancarlo Visitilli – LA REPUBBLICA BARI