scritto e diretto da Lorenzo Gioielli
con
Amanda Sandrelli, Blas Roca Rey,
Edy Angelillo, Lorenzo Gioielli
disegno luci Luca Barbati
scene e costumi Claudia Cosenza
Sala Umberto Produzioni
Edoardo Massimi è un medico generalista di mezz’età. Legge il pensiero. Non l’ha mai confessato a nessuno e la cosa gli ha causato non pochi problemi di relazione. Avere un rapporto amoroso, in particolare, è impossibile. Un suo vecchio amico, Rudy Sottile, un giorno va a farsi visitare perché sua moglie Gemma, che Edoardo non ha mai voluto conoscere per il timore di venire a sapere imbarazzanti segreti che poi sarebbe stato costretto, per lealtà, a rivelare all’amico, è convinta che Rudy soffra di satiriasi. Quest’ultimo ha un’amante, è vero, e ama molto il mondo femminile, ma la sua situazione è patologica o è comune a tutti i maschi? Edoardo incontra casualmente una donna di cui non riesce a leggere il pensiero. Sembra finalmente che abbia trovato l’amore. Purtroppo, però, lei rifiuta di sposarlo, gettandolo nello sconforto, e Rudy riesce a convincere il medico ad andare a cena a casa sua. Gli farà conoscere sua moglie e una sua amica, Marianna, con cui spera che Edoardo troverà modo di consolarsi. Ma la serata svelerà molti segreti che cambieranno per sempre la vita dei due uomini e delle due donne.
Una commedia brillante sul tema del sesso, del tradimento, dell’amore e di tutto quello che si è perduto e che nessuno può restituirci.
“Non c’è tempo, amore” è la fotografia mobile della generazione che si sta impossessando delle leve del potere. I quaranta – cinquantenni hanno atteso molto, forse per la longevità o l’ostinazione della generazione precedente, hanno attraversato i confusi ed esaltanti anni settanta, hanno praticato l’amore libero, poi si sono ricreduti, hanno cercato di distruggere le proprie radici, poi si sono ricreduti, sono stati estremisti, e poi, ovviamente, si sono ricreduti. È una generazione che si è smentita e tradita talmente tante volte da non essere distinguibile, da non avere un’identità definibile e definita. Una generazione che si è lasciata vivere, con una certa ingenua indifferenza, finché si è accorta che il tempo a sua disposizione stava terminando. Se n’è resa conto proprio mentre organizzava quello stesso tempo per il meglio, mentre “ottimizzava” gli spazi, le cose, i sentimenti. Ma sono quest’ultimi la sua spina nel fianco, è nell’amore che la generazione svela tutta la sua debolezza. Non si è ancora decisa a vivere completamente la coppia, nel senso, se si vuole, antiquato del termine, ma non si è liberata del pensiero che il sesso sia sconveniente, brutto, gravissimo qualora non venga praticato all’interno dell’amore istituzionale. Tanta insoddisfazione, quindi, che deriva dalla sensazione di aver perso qualcosa, che discende da un sommesso rimpianto di una gioventù perduta e mai vissuta fino in fondo. Ma mentre scrivevo mi sono accorto che non stavo descrivendo la mia generazione, ma di tutti coloro che arrivano a quell’età, felicemente sposati, oppure solitari, o magari innamorati dell’amore, tutti coloro che si trovano a confrontarsi con una giovinezza che non c’è più e con una discesa anagrafica che si rifiuta, per cui non ci si sente pronti, per cui, forse, non si è mai pronti. La nevrosi dei nostri tempi è solo esaltata dalle nuove tecnologie, dall’aumentare vorticoso della velocità della vita, ma è un male che ha sempre contagiato gli uomini e le donne che fissano davvero il crepaccio che il tempo sta aprendo davanti a loro. Hanno voglia di ricominciare da capo, ma ormai è tardi, non c’è tempo. O forse sì, ma accettando la nuova condizione e continuando, semplicemente, a vivere, con una maggiore consapevolezza. Con amore.
Questa commedia aveva bisogno di uno spazio che ne racchiudesse molti altri, approfittando dei mezzi fondamentali dell’illusione teatrale, di quella sospensione della credulità che è alla base della complicità fra attori e pubblico. Scena unica, dunque, ma che si presti a diventare un attimo camera da letto, studio medico, albergo, con l’aiuto delle luci di Luca Barbati. Fondamentali, per spettacoli come questo, sono gli attori e le attrici, la loro verosimiglianza, la loro vigile adesione ai personaggi, la loro volontà di scoprire parti di sé che spesso celano anche a se stessi. È possibile farlo soltanto con una compagnia che sia soprattutto una compagnia di amici cui non basta il teatro didascalico e classicheggiante ma che ritengono che si possa fare uno spettacolo che sia più vero della verità, comico, minaccioso e commovente. Uno spettacolo che parli degli uomini e delle donne che vengono a vederlo. “Non c’è tempo, amore” è una commedia su come siamo e su come potremmo diventare, se fossimo più sinceri, più semplici, più sereni. Insomma, se non fossimo umani.
Lorenzo Gioielli