Archivio stagione 2014/2015
Sios-Boulé ….di Joyce Lussu e altre Sibille di e con Isabella Carloni e con Rita Atzeri in anteprima sabato 11 aprile alle 21 al Teatro San Bartolomeo a Meana Sardo
CeDAC
XXXV Circuito Teatrale Regionale Sardo
Stagione di Prosa 2014/2015
GIU’ LA MASCHERA!
Il crogiuolo – Rovine Circolari
Sios-Boulé
….di Joyce Lussu e altre Sibille
di e con Isabella Carloni
e con Rita Atzeri
sabato 11 aprile – ore 21 – MEANA SARDO / Teatro San Bartolomeo
(anteprima nazionale)
COMUNICATO del 09.04.2015
Fra teatro e poesia, un intrigante viaggio nell’immaginario e nell’universo femminile: debutta in anteprima nazionale sabato 11 aprile alle 21 al Teatro San Bartolomeo di Meana Sardo (nell’ambito del XXXV Circuito Teatrale Regionale Sardo a cura del CeDAC, con lo slogan “Giù la Maschera!”), “Sios-Boulé/ …di Joyce Lussu e altre Sibille”, di e con l’attrice, cantante e dramaturg Isabella Carloni, in scena con Rita Atzeri sul filo delle note dell’arpa elettrica di Raoul Moretti e sull’eco di antichi canti dell’Isola, interpretati dal Coro di Tonara.
La pièce (co-produzione del Crogiuolo e Rovine Circolari), s’ispira alla figura e all’opera di Joyce Lussu, e in particolare alle sue ricerche sulle sibille e sui miti e gli archetipi di un’arcaica civiltà matriarcale (confluite nel suo “Libro delle streghe”), per affrontare l’enigma di una plurisecolare tradizione patriarcale, a fronte dei saperi perduti e dimenticati di donne potenti e sagge, regine e profetesse, guaritrici, sacerdotesse e sciamane.
Dialoghi sibillini – fra periferie urbane e scenari post-industriali – compongono un racconto per quadri, in cui due misteriose creature, donne folli o sapienti, ridotte a pallide icone ed eredi di una perduta grandezza, cercano di salvare le preziose parole cui affidare la memoria del passato e del presente, quali chiavi indispensabili per interpretare il futuro.
Le attrici incarnano – in questo sottile gioco di rimandi tra fantasia e realtà, tra le emergenze dell’oggi e i valori e le certezze di ieri – due moderne sibille, ormai incerte sul dono della visione e sul valore di nuove profezie (secondo l’etimologia del nome da σιοὺς (sious) e βουλὴν (boulé), ovvero “consiglio divino”), ma pur sempre custodi del significato profondo delle parole, in un mondo che sembra aver perduto i punti di riferimento e i fondamenti etici e morali.
I versi di Joyce Lussu e le sue intuizioni affiorano, come brevi folgorazioni insieme ai ricordi di un’esistenza avventurosa, dalla lotta antifascista all’incontro con Emilio Lussu, futuro compagno di vita e di battaglie reali e ideali, all’impegno politico, e alla sua fervente attività in difesa dei diritti e della dignità dei popoli. Poetessa e scrittrice, scopritrice e traduttrice di poeti, tra cui Nazim Hikmet e Agostinho Neto, la fiorentina Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti, meglio nota come Joyce Lussu, conobbe gli incubi e le tragedie del secolo breve, dalla violenza della dittatura agli effetti del colonialismo, e da studiosa dell’altra storia, quella dei vinti, scelse di farsi voce degli ultimi, dei deboli, degli esclusi.
“Sios-Boulé/ …di Joyce Lussu e altre Sibille” – in anteprima a Meana Sardo in forma di mise en éspace, è il primo capitolo di un progetto di respiro pluriennale intorno ai testi dell’intellettuale e artista toscana, che scelse la Sardegna, terra natìa del marito Emilio, come patria d’elezione, indagandone la cultura e la lingua, le tradizioni e confrontandosi con una realtà diversa, ma non troppo, da quella conosciuta durante l’infanzia e la giovinezza. Il carattere schivo e generoso dei sardi, che la accolsero dopo un’iniziale ritrosia, e l’autorevolezza e la sapienza delle donne, il loro ruolo all’interno della comunità, sembrano sottendere una civiltà arcaica fondata sulla parità tra i sessi se non sul matriarcato, insieme a una fierezza di popolo, mai veramente sottomesso, ancora intuibile nello sguardo e nel portamento, coerente con l’ipotesi di un’era remota in cui l’aspirazione alla pace prevalesse sulla forza delle armi.
Tra le righe dei racconti e dei saggi di Joyce Lussu s’intravede, nella ricostruzione di una “controstoria” la speranza di una rinnovata utopia: da ricercatrice di miti e tradizioni popolari, la scrittrice riportò alla luce le tracce di una differente gerarchia dei poteri, di una posizione preminente delle donne (custodi dei saperi arcani della vita e della morte, dotate di capacità di divinazione e visione profetica). Tra invenzione e verità storica, le antiche e moderne Sibille rappresentano l’ideale ponte fra i misteri della natura e la scienza del sovrannaturale, e l’umano: il loro sguardo coglie i simboli, vede al di là delle apparenze, esse sanno decodificare i segni celati nella terra e nel cielo, leggono nel libro della Storia e rivelano ciò che sarà, o potrebbe essere.
Il teatro diventa il luogo dello svelamento, in cui viene finalmente (di)mostrata la verità, ma anche dell’incantesimo delle parole, nella musicalità del verso e nel potere evocativo di un suono che rimanda a immagini, sensazioni, emozioni: quel che accade sulla scena sfida la verosimiglianza, ma è di per sé reale, perché avviene sotto gli occhi, alla presenza, e con la complicità del pubblico.
Due artiste – due donne del terzo millennio – grazie alla magia della scena possono trasformarsi in Sibille e indagare insieme agli spettatori sul caos e sul nonsense contemporaneo, interrogarsi sulle contraddizioni della società, sulla (in)evitabilità dei conflitti, sulla brutalità e assurdità delle guerre, riflettere, portatrici di un’antica saggezza e del segreto della profezia, prerogativa dei poeti, su come costruire un futuro diverso e migliore, una civiltà che sappia trarre insegnamento dalla storia e prediliga la pace e la giustizia, e favorisca così il dialogo e la solidarietà tra i popoli.
La poesia e il canto, le trame vere e inventate che s’intrecciano ai nodi cruciali dell’attualità, e il suono dell’arpa, compongono l’epica fantastica di “Sios-Boulé/ …di Joyce Lussu e altre Sibille”: una pièce che si rivolge alla mente e al cuore, con l’auspicio che il teatro ridiventi il fulcro del dibattito, del confronto in seno alla comunità, quell’agorà da cui partire per rendere concreto il sogno di una civiltà capace di sconfiggere i suoi demoni e le sue paure, in cui il gioco delle armi sia appena un vago ricordo, e gli abitanti del pianeta imparino finalmente a convivere in armonia.
CONTATTI / per l’Ufficio Stampa del CeDAC/ Sardegna:
Anna Brotzu – cell. 328.6923069 – cedac.uffstampa@gmail.com
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MEANA SARDO
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SCHEDA DELLO SPETTACOLO
Il crogiuolo – Rovine Circolari
Sios-Boulé
….di Joyce Lussu e altre Sibille
di Isabella Carloni
con Isabella Carloni e Rita Atzeri
e con Raoul Moretti – arpa
e con la partecipazione del Coro di Tonara
Lo spettacolo
Lo spettacolo trae spunto dagli scritti e dal pensiero di Joyce Lussu e segue come filo rosso l’originale e appassionata ricerca storica, antropologica e poetica che Joyce ha dedicato alla figura della Sibilla.
La tesi di Joyce, condivisa dall’autrice, è che le leggende attorno alle Sibille non siano semplici fiabe o storie fantastiche, ma raccontino di un’antichissima cultura, attaccata alla vita in ogni sua manifestazione, alla cura per l’ambiente e a un’idea di civiltà basata sulla convivenza e la solidarietà, dove etica e politica non sono separate, ma contribuiscono a una cultura di pace, di giustizia e di rispetto per l’altro.
Stimolato dalle acute sollecitazioni dell’opera di Joyce Lussu il lavoro ricerca così, nelle trame di dialoghi tra sibille contemporanee, a volte dolenti, a volte ironiche, combattive o surreali, le tracce nascoste di un altro punto di vista e di un’altra sapienza, alla quale guardare come risorsa vitale per la nostra società disorientata.
Affiorano, intrecciate a quei dialoghi, le esperienze e le parole di Joyce stessa, frutto della sua vita ricca e avventurosa, che ritrova, attorno alla figura della Sibilla, un legame affettivo e storico tra le Marche – regione d’origine dei suoi genitori – e la Sardegna – sua amata patria adottiva dopo l’incontro folgorante con Emilio Lussu, compagno di vita e di battaglie.
L’autrice e interprete
Attrice e cantante, laureata in Filosofia e diplomata alla Scuola di Teatro di Bologna, Isabella Carloni si è formata tra Italia e Francia sviluppando un originale percorso artistico che porta dentro il teatro la centralità del corpo e della voce. E’ co-fondatrice del New Voice Studio Italia, il centro internazionale di alta specializzazione della voce.
Ha lavorato con molti protagonisti della scena contemporanea sia in Italia che all’estero (fra gli altri Carlo Cecchi, Marco Baliani, Toni Servillo, Andrea Adriatico, Elio De Capitani, Giovanna Marini, Giancarlo Sepe e Franco Branciaroli). Collabora con il Teatro Stabile delle Marche, anche come formatrice presso la Scuola di teatro di Ancona.
Lavora per la RAI in fiction (La Squadra, Nebbie e delitti, Fine secolo) e radiodrammi (Radiobellablu).
Il suo peculiare percorso di ricerca sull’espressività vocale e la drammaturgia ha dato origine a progetti e creazioni originali:“Viola di mare”; “Inventario delle cose certe”, dedicato a Joyce Lussu, con le musiche originali dei Sentieri Selvaggi di Milano e la regia di Marco Baliani; “Via dei dollari” il concerto ispirato al testo di Annie Proulx “Crimini della fisarmonica” con la Band Contradamerla; “Circe-un mito mediterraneo”; “Lo sguardo rubato”.
Con la sua opera prima “Giovanna”, Isabella Carloni ha vinto il Premio Iceberg di Bologna ed è stata selezionata per la Biennale Giovani di Lisbona. Ha vinto il Premio Girulà come miglior attrice non protagonista accanto a Remo Girone per “Don Giovanni torna dalla guerra” prodotto dal Teatro Stabile di Napoli per la regia di Carlo Cerciello.
Artista residente all’Italian School del Middlebury College,VT USA. Direttrice artistica di Rovine Circolari, e ideatrice di progetti culturali e pedagogici.
Percorso drammaturgico
Ne “Il libro delle streghe” Joyce Lussu racconta dell’incontro con donne dalla forte e autonoma personalità, aperte a una visione unitaria della vita, al rispetto dell’altro e della giustizia diffusa, per niente accondiscendenti con quella cultura di violenza, di guerra e sopraffazione che è risultata vincitrice nella storia fino al nostro tempo presente.
Donne niente affatto ignare, né ingenuamente utopiste, ma personalità concrete, portatrici di una saggezza antica e vitale: moderne Sibille, figure a loro modo resistenti alla cultura dell’efficienza produttiva, unicamente devota al profitto.
Ispirata a questi racconti e alla vita stessa di Joyce Lussu la linea drammaturgica si sviluppa attraverso i dialoghi surreali e poetici, storici e filosofici di due figure femminili, concrete e poetiche al tempo stesso, moderne Sibille alla ricerca di tracce nascoste, di un’antica saggezza perduta o forse solo dimenticata.
Attorno al tema del sapere femminile, di una cultura di vita e di convivenza e dell’immagine della Sibilla, figura chiave del pensiero di Joyce, si delinea così un percorso che ricerca, assieme alle protagoniste, le parole e le forme per tornare a dialogare su questioni essenziali che sviluppino una cultura di pace.
Tra i vari dialoghi che delineano i quadri del percorso drammaturgico si affacciano parole e memorie della stessa Joyce: racconti, ricordi, incontri speciali, immagini poetiche, che aprono scarti temporali o finestre sul presente. Gli oggetti lasciati in fretta sul selciato durante una manifestazione socialista del ‘21 diventano altre scarpe, altri berretti, abbandonati sulle nostre spiagge e le attrici precipitano dentro nuovi drammi e nuove speranze, che parlano altre lingue ma ospitano uno stesso desiderio di giustizia.
“C’è un cane morto dentro il fosso” canta una poesia di Joyce e questa volta le attrici si fanno coro, il coro di tutte le madri che non si accontentano delle lodi di quei potenti che decidono della vita dei loro figli, mandati a morire per interessi travestiti da ideali.
Anche la fiducia in altre forme di organizzazione sociale non è mai, per Joyce, utopia intellettuale, ma ricerca e confronto con quelle figure di concretezza e buon senso, nelle quali si incarnano ancora oggi archetipi di una saggezza antica, ma lontana da vecchie e nuove superstizioni:
«Bisogna essere attenti, in ascolto, non solo delle parole, anche un gesto, uno sguardo, un piccolo movimento del corpo: questa è la nostra conoscenza, nulla di magico e di misterioso..» sisteneva Joyce con le parole della tiina sarda Elisabetta.
Le donne di cui Joyce va alla ricerca, spesso provocando le più timide ad uscire dal guscio, sono le donne “intere” incontrate nelle campagne marchigiane…o nella Sardegna di Emilio, quella Sardegna che le ha aperto le porte sul mondo, spingendola a farsi sempre complice di chi lotta ovunque per la propria indipendenza, ma sono anche le donne che abitano i nostri tempi veloci e lottano con costanza per la giustizia e la libertà di tutti.
A queste donne “intere” un tempo la comunità affidava la propria organizzazione, secondo un’universale legge di giustizia: “La Signora custodiva gli orci e, quand’era il momento, divideva il grano e l’olio tra tutte le famiglie, facendo le giuste parti per tutti”.
Così attraverso Joyce, le attrici indagano il suo pensiero e quel suo stare all’erta, dalla parte di chi chiede giustizia e saggezza, di chi non rinuncia alla bellezza e alla poesia, convinta che siano necessarie al nostro mondo spesso così insensato e, parlando di Joyce e con Joyce, raccontano anche di sé e del loro tempo, come Joyce le avrebbe stimolate a fare .
E’ un viaggio originale, che svela un’altra prospettiva da cui guardare la storia, una specie di Inventario dell’oggi, quello che lo spettacolo ci riconsegna, per “ripartire dall’essenziale”: come concedersi una sospensione per fare il punto e tornare a ciò che è “certo”, nel cuore e nel linguaggio, perché “sul certo – diceva Joyce – non possiamo non capirci. La fine delle guerre e la salvaguardia della vita sul pianeta, non c’è altro di essenziale da fare”.