scritto e diretto da Roberto Cavosi
con Federica Luna Vincenti
e con Marco Manca, Miana Merisi, Maria Giulia Scarcella, Francesca Bruni Ercole
produzione Goldenart Production in coproduzione con Teatro Stabile di Bolzano e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
♦Tempio Pausania, Teatro del Carmine – 22 gennaio ore 21
♦ Lanusei, Teatro Tonio Dei- 24 gennaio ore 21
Note di regia
SISSI L’IMPERATRICE è il racconto dell’inquieta e tormentata vita dell’Imperatrice Elisabetta d’Austria, comunemente nota come Sissi. Il testo si snoda in vari quadri, ognuno dei quali prende in esame alcuni aspetti del carattere e del pensiero dell’Imperatrice: dalla filosofia al sesso, dalla politica all’arte. Il ritratto generale che man mano si compone mette in luce una donna tanto anticonformista quanto profondamente frustrata dalla rigidità e spietatezza della Corte Viennese, ma anche la grande poesia e la voglia di libertà di una creatura che si riteneva eternamente “chiusa in gabbia”. Anoressica, in eterno lutto per le morti assurde di due dei suoi figli, sviluppa una sensibilità dolente e rabbiosa al tempo stesso ma tutt’altro che astratta, rivolta infatti anche verso le più delicate questioni sociali: dalle sofferenze delle minoranze etniche, ai soprusi subiti dal proletariato.
Antimperialista e disgustata dalle atrocità delle guerre che divampano intorno a lei, Sissi si dedica maniacalmente alla cura del suo corpo, della sua acconciatura, alla scelta delle scarpe, una barriera contro il senso di morte che aleggia intorno a lei. Profeta dell’imminente crollo dell’Impero Asburgico, Sissi ci mostra quel mondo come paradigma del nostro mondo, di un presente in cui le piaghe della sopraffazione, del razzismo e della guerra sono più virulente che mai. Sissi l’Imperatrice è un testo dove alte si fanno le “grida” della sfortunata Sissi, imperatrice suo malgrado ma donna irripetibile, la cui sensibilità ferita parla a tutti noi, alle nostre ferite.
Lungo le Passeggiate d’Estate a Merano, sotto ampie e ombrose conifere, c’è una statua dedicata a Elisabetta d’Austria. Una statua in marmo bianco dove Elisabetta siede su una piccola, sobria poltroncina con le mani posate su un libro che tiene sulle ginocchia. Tra
quelle mani diafane ogni giorno qualcuno si preoccupa di mettere un piccolo mazzetto di fiori freschi. Questa tradizione esiste da sempre, il che mi fa pensare che venga spontaneamente tramandata di generazione in generazione. Elisabetta d’altronde è molto amata a Merano dove era venuta per curare la tisi e a lei sono dedicati caffè, ristoranti, alberghi e un grande giardino botanico. Io, che sono nato a Merano, fin da piccolo rimanevo ogni volta incantato davanti a quella statua che stranamente mi trasmetteva tristezza, un certo disagio e una sorta di compressa irrequietezza. Un’immagine molto lontana dal ritratto di donna solare che normalmente abbiamo dell’Imperatrice. Ancora oggi quando cerco di dare un volto a quei sentimenti non posso fare a meno d’associarli a lei. Anni fa, poi, mi sono casualmente “imbattuto” in un interessante saggio dal titolo “Le Indomabili” a firma di due
psicologhe francesi: Ginette Rainbault e Caroline Eliacheff. Nel saggio venivano esaminate come anoressiche le figure di Antigone, Simone Weil, Caterina da Siena ed Elisabetta d’Austria. Studiando più a fondo l’anoressia, la caratteristica che più mi ha colpito è senz’altro l’indomita forza che scaturisce da chi ne soffre, una forza sprigionata da una ricerca spasmodica di purezza, di libertà. Energia ribelle, rivoluzionaria, sovversiva in quanto paradossalmente alimentata dall’eliminazione sistematica del cibo. Una contraddizione che alle massime conseguenze porta il malato a non avere via di scampo, considerando sporco e letale tutto ciò che ingerisce. Elisabetta viveva oltretutto in una Corte i cui codici erano per lei insopportabili ancor più del cibo. Ecco quindi delinearsi in me una figura sorprendente, fortissima e debolissima al tempo stesso. Un’anima la cui sofferenza diventa ribellione, il dolore sovversione, la melanconia riscatto e l’astinenza coraggio. Prerogative così spiccate in lei che hanno segnato anche i suoi ideali sociali e politici facendone una donna dal pensiero modernissimo, sicuramente avanti coi tempi: dalla sensibilità verso le minoranze etniche, fino al più acre disgusto verso la crudeltà di qualunque guerra e di ogni imperialismo. E nei tempi in cui viviamo, così voraci di tutto questo, non potrei avere “Personaggio”migliore da portare sulla scena.