Elsinor / Centro di Produzione Teatrale
Tradimenti
di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra

con Stefano Braschi, Stefania Medri, Michele Sinisi

scene Federico Biancalani

consulenza artistica Francesco M. Asselta

foto Luca del Pia
aiuto regia Nicolò Valandro

regia Michele Sinisi
produzione Elsinor / Centro di Produzione Teatrale
con il contributo di Next – Laboratorio delle idee

 

Un lavoro ispirato. Per struttura e intuizioni. Ottimo il cast. Con Stefano Braschi che emoziona nei panni di Jerry. Chissà quando giocheranno ancora a squash.
D. Vincenti, Il Giorno

Presentata nel novembre 2019 a Milano e rimasta forzatamente ferma per quasi due anni, Tradimenti è la messa in scena dell’omonima opera che il Premio Nobel per la Letteratura Harold Pinter presentò per la prima volta al pubblico londinese nel 1978. La storia è quella di una relazione extraconiugale ripercorsa però a ritroso, dalla sua fine fino ai suoi esordi.
Tutto inizia due anni dopo la fine del rapporto e termina prima che esso abbia inizio. Ma, oltre ai due amanti c’è anche il marito di lei, nonché migliore amico di lui. Insomma, un triangolo a tutti gli effetti, dalla trama apparentemente semplice e lineare. Se non fosse che il susseguirsi dei fatti lascia piano piano spazio alla complessità d’animo dei tre personaggi, accomunati da un segreto a volte difficile da portare. Il testo di Pinter rivive sulla scena in un allestimento sanguigno e asciutto – a tratti violento – dove le parole non dette, i pensieri taciuti, le azioni nascoste riempiono le vite dei tre protagonisti, invadono gli spazi, irrompono con forza minando tutte le loro relazioni.
Ed è proprio nella tensione data dai silenzi, da ciò che si poteva dire e che invece è stato taciuto, il nucleo centrale della pièce. Michele Sinisi si addentra nell’esplorazione dell’invisibile lavorando con gli attori sulle diverse umanità di Jerry, Robert ed Emma per restituire al pubblico personaggi vivi, carnali, potenti. Stefano Braschi, Stefania Medri e lo stesso Michele Sinisi – in scena nei panni del marito tradito Robert – si muovono su una scena dominata da un imponente tabellone, costruito dallo scenografo Federico Biancalani sulla falsa riga degli orologi a lettere luminose: strumenti forse più affini ad una percezione umana del tempo, fatta di intervalli imperfetti, mai precisi.
Le didascalie spazio/temporali presenti nel dramma si accendono dunque periodicamente per scandire i diversi momenti dello spettacolo dando un ritmo serrato alla pièce, in un viaggio al contrario verso l’origine del tradimento, ripercorso al ritmo del rock anni ’80.

NOTE DI REGIA
Chi frequenta il teatro e la letteratura conosce molto bene Pinter e il suo Tradimenti. Questo dovrebbe rendere molto difficile, per un regista oggi, portare avanti un discorso originale sul testo.
L’approfondimento dell’umano in tutte le sue sfaccettature è stato senza dubbio il punto di partenza del mio lavoro sull’opera. Chi sono questi personaggi? Che relazioni sociali intessono fra di loro? In quale tipo di ambiente sono immersi?
Il risultato è uno spettacolo costruito fianco a fianco con lo scenografo Federico Biancalani e con gli attori. Fondamentale è stato infatti un profondo confronto collettivo rispetto al testo e alle sue possibili interpretazioni. Tradimenti infatti è ricco di elementi di analisi, di spunti di riflessione che tutt’ora possono attivare, nel pubblico, una risposta “potente”.
Bisogna solo cercare nuove prospettive da cui guardare il tradimento, esaminare la complessità di questo tema. Non basta rappresentarlo. Per fare questo ho reso la scenografia co-protagonista, elemento fondamentale infatti a portare fisicamente l’opera davanti allo spettatore creando un ambiente in cui i corpi e le voci possano emergere in tutta la loro forza vitale.
Il rischio di tradire in qualche modo il testo, la voce dell’autore è concreto e vivo ogni volta che si affronta un’opera, ma tradire, in questo senso, significa elaborare, dare alla voce autoriale uno spazio nuovo nel quale esprimersi. Io ho deciso di affrontare questa “traduzione” in scena utilizzando come filo rosso quello del testo, dell’arte.
La professione di gallerista di Emma, quella legata alla scrittura di Jerry e Robert sono gli elementi attraverso i quali il percorso artistico interroga se stesso, nel testo e nella scena. Ecco questo ho voluto valorizzare, insieme allo studio dei rapporti fra i protagonisti, alle loro relazioni. Però, come sempre, prestando grande attenzione al pubblico.
Il teatro dev’essere divertente e coinvolgente. Il pubblico deve dunque trovare qualcosa di se stesso, qualcosa che sia a lui vicino nella rappresentazione. Non voglio portare avanti un discorso intellettuale autoreferenziale riservato agli esperti del settore.
Tradimenti deve riuscire ad appassionare, a muovere ad una riflessione, ad essere parte del presente.
Michele Sinisi

ESTRATTI DALLA RASSEGNA STAMPA
Fanno bene i paletti a Sinisi. Che si muove a suo agio nell’intoccabilità di Pinter. Esaltandone i dialoghi chirurgici. Le sfumature. Perfino le didascalie, in neon sul monolite che fa da sfondo al racconto di una relazione extraconiugale vissuta a ritroso. (…) Un lavoro ispirato. Per struttura e intuizioni. Ottimo il cast. Con Braschi che emoziona nei panni di Jerry. Chissà quando giocheranno ancora a squash.
D. Vincenti, Il Giorno

Il Pinter di Sinisi è fisico, sanguigno, poco mentale. Ma non per questo meno crudele, o minaccioso. Il vuoto respira assordante e fa ancora più male.
G. Rizza, Il Manifesto

Sinisi riavvolge il nastro di Pinter e quello della memoria. Va in cerca del proprio passato. Nel viaggio al contrario di Pinter tutto ritorna al 1968, anno d’oro del rock impegnato e del prog onirico. Sinisi lo correda di una lunghissima serie di musiche new wave e synthpop, dance pop, funk e post punk. Sono brani di Madonna, Michael Jackson, Duran Duran, The Clash, The Cure, Justice, A-ha. È un anacronismo sublime. È il modo più perverso di tradire il testo e il decennio lungo il quale si snoda il racconto. Nel lungo ballo solitario e caleidoscopico di Emma c’è l’innocenza smarrita. Nel pop elettronico degli anni Ottanta, così sfrontatamente patinati che si cantava in playback, Sinisi cerca invece l’adolescenza perduta.
Bel trio d’attori. Bel dialogo con i sottotesti di Pinter. Sinisi ritrova il suo talento. Il muro in scena è anche contenimento. «Al genio nocciono le regole», diceva Goethe. A volte è vero il contrario.
V. Sardelli, Krapp’s Last Post

Avviene un vero miracolo in scena, una transustanziazione, in cui la sostanza della scrittura pinteriana diventa quella degli interpreti, i dialoghi sono veloci partite a squash, le uniche veramente giocate, e non semplicemente evocate. Sono scambi serrati, sono meccanismi ad orologeria che funzionano con precisione svizzera, e quando toccano la racchetta fonetica dell’avversario si sente il “pac” del sottotesto, dell’intenzione, che è sempre deviante, altra, rispetto al senso letterale delle parole, è davvero l’Altro di lacaniana memoria a parlare, ad alzare la voce, sono Dei linguistici, grammaticali a reggere le fila della vicenda, ed il ritmo che tengono col piede è quello della battitura a macchina, o di un pezzo rock anni ’80 .
D. Caravà, MilanoTeatri

Quello che colpisce nello spettacolo è ciò che esula dalle parole o forse ciò che le parole fanno emergere dal corpo dei personaggi, che si parlano o stando troppo lontani o troppo vicini, e con l’impressione che nascondano sempre qualcosa. (…) Bravi gli attori e interessante la regia di Sinisi, che punta sul “gioco della realtà” con parole processate al momento, che si incontrano e scontrano con i personaggi e le parole che portano alla bocca.
R. Usardi, Modulazioni Temporali

I tre attori danno prova di un’interpretazione sanguigna e vivissima, tanto aderenti al testo da quasi annullare la persona. (…) Uno spettacolo che si prende tutto il coraggio delle proprie scelte, che accetta di stare in equilibrio, come si diceva all’inizio, tra vincolo e suo strappo.
V. Raciti, Teatro&Critica