Archivio stagione 2009/2010
Un canto per Ecuba
scritto e diretto da Giancarlo Biffi
Cada Die Teatro
Ecuba Caterina Vertova
Cassandra Isella Orchis
Polissena Rita Atzeri
Ancilla Maria Grazia Bodio
Ulisse Alessandro Mascia
Musiche originali eseguite dal vivo dal NAT TRIO
Simone Dionigi Pala sax soprano e tenore
Marcella Carboni arpa
Elisabetta Lacorte basso elettrico
disegno luci Giovanni Schirru
suono Giampietro Guttuso
assistente alla regia Mauro Mou
regia
Giancarlo Biffi
…quanto differiscono nel loro essere la natura del necessario e quella del bene…
Platone
LO SPETTACOLO
Per due volte, prima che la spedizione abbia inizio e dopo la fine della guerra di Troia, si compie il sacrificio di una ragazza. La prima volta è Ifigenia che Agamennone suo padre attira in Aulis fingendo di offrirla in sposa ad Achille. La seconda volta è la troiana Polissena, che Achille credeva di trovare nel tempio, dove Apollo (o Paride?) lo uccide a tradimento. Ifigenia viene uccisa perché la bonaccia non permette alle navi achee di partire; Polissena viene uccisa perché la bonaccia non permette alle navi achee di tornare. Nel mezzo del silenzio cerimoniale ci sta la guerra di Troia. Guerra questa che in sé racchiude tutte le guerre, passate, presenti e future.
La storia morde sul collo, avida continua a spillarci sangue, non è ancora sazia e se seguitiamo a trarre piacere dalle sue labbra, di certo mai lo sarà. Ancora guerre in teatro, sempre guerre, le stesse guerre. Dopo la guerra di Troia non ci sarebbe più nulla da dire, quella fiamma in sé le contiene tutte, sia quelle avvenute prima che soprattutto quelle che seguiranno poi. Si poteva concludere lì, invece l’uomo che di guerre ne fa necessità ha proseguito. Per un teatro che si nutre di pensiero, quella città rappresenta molto.
Le nostre facce, le nostre strade, i nostri colori si specchiano in quel luogo. Dimenticarlo è impossibile e i fatti di ogni giorno ce lo ricordano costantemente. Non è ancora finita.
Potremmo smettere, ricominciare e finalmente superare Troia. “Oltre Troia!”: questo è il grido. Invece ci siamo ancora in mezzo: “L’individuo deve sacrificarsi” o “essere sacrificato”, c’è sempre qualcosa di superiore per cui si deve necessariamente sopraffare l’altro. E noi lo facciamo, con il consenso generale lo facciamo. Ecuba la madre, donna prima di tutto “politica”, cerca una via nella notte, è uno sguardo che s’insinua in tremila anni e oltre, di rotazione della terra. Lei s’interroga e c’interroga ma niente, la ruota gira sempre per quel verso, comunque vadano le cose c’è sempre una Clitennestra che aspetta Agamennone, così come ci sarà sempre un Telegono che attende Ulisse, il sacrificio deve compiersi. Non c’è gioia per i vincitori, non si vince mai e si perde sempre e il più delle volte la stessa vita. Ecuba lo sa, così come lo sanno le sue figlie. Cassandra vede quello che tutti possono vedere, sta nelle cose. Ma purtroppo, gli occhi del mondo restano chiusi. Sembra tutto ovvio e che tutti, sia oggi che ieri non possano non dare ragione a questa figlia, ma allora perché lei continua a morire? Così come Polissena, l’altra figlia di Ecuba non ha né spazio, né speranza: è troppo libera, non può farsi schiava, per questo deve morire. Un capro, serve un capro per andare avanti… Per ricominciare qualcuno deve essere sacrificato. Poco importa se si muore per amore “si ammazza ciò che si ama” forse è proprio per questo che si continua ad ammazzare ed ad amare.
La tragedia non sta nelle mura del teatro (questo sarebbe poco male), ma deborda, esce e purtroppo continua a galoppare fuori, è fuori da questo luogo che il capro viene di nuovo sacrificato, da quegli stessi capri che danzandogli attorno attendono a loro volta solo il loro turno. Il gioco continua e purtroppo senza soluzione di continuità.
Giancarlo Biffi