/ Archivio stagione 2013/2014

Una cena veramente straordinaria… a Meana Sardo e a San Gavino

CeDAC
XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo

Questa è la nostra Stagione

Stagione di Prosa 2013-2014

Senio GB Dattena DSCF4303

TB – Teatro Barbaro

Una cena veramente straordinaria

L’amore, la vita, la morte ai tempi del ghetto

liberamente tratto dal romanzo “Il muro di Varsavia” di John Hersey

sabato 5 aprile – ore 21 / MEANA SARDO/ Teatro San Bartolomeo

sabato 12 aprile/ ore 21 / SAN GAVINO MONREALE / Teatro Comunale

 

La tragedia della Shoah rivive in “Una cena veramente straordinaria/ L’amore, la vita,  la morte ai tempi del ghetto” del Teatro Barbaro (liberamente tratto da “Il muro di Varsavia” di John Hersey) in tournée nell’Isola sotto le insegne del CeDAC per la stagione di Prosa 2013-14, nell’ambito del XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo.

Lo spettacolo ideato, scritto e diretto da Senio G.B. Dattena, in scena con Maria Loi e Evelina Bassu sulle note della fisarmonica di Maurizio Serra, sarà in cartellone sabato 5 aprile alle 21 al Teatro San Bartolomeo di Meana Sardo e sette giorni dopo, sabato 12 aprile sempre alle 21 al Teatro Comunale di San Gavino Monreale.

Cronache immaginarie di una quotidianità racchiusa oltre il muro, tratte dal diario di uno degli ultimi sopravvissuti, per restituire voce e identità alle vittime della follia nazista attraverso il linguaggio visionario del teatro

COMUNICATO del 03.04.2014

Viaggio nella Storia con “Una cena veramente straordinaria/ L’amore, la vita e la morte ai tempi del ghetto”, lo spettacolo del Teatro Barbaro liberamente ispirato a “Il muro di Varsavia” di John Hersey, in cartellone sabato 5 aprile alle 21 al Teatro San Bartolomeo di Meana Sardo e sette giorni dopo, sabato 12 aprile sempre alle 21 al Teatro Comunale di San Gavino Monreale.

La pièce originale – ideata, scritta e diretta da Senio G.B. Dattena, protagonista sulla scena assieme a Maria Loi e Evelina Bassu sulle note della fisarmonica di Maurizio Serra – affronta l’incubo della Shoah dal punto di vista delle vittime, gli ebrei di Varsavia, prigionieri dietro il muro del ghetto, sottilmente consapevoli della prossima catastrofe ma ancora pienamente immersi nel respiro della vita.

Una cena veramente straordinaria” trae spunto dagli immaginari diari di un giornalista e aspirante scrittore, Noach Levinson (in un certo senso un alter ego di John Hersey, giornalista e scrittore statunitense, autore del romanzo in chiave di docufiction): davanti alle prime persecuzioni nella Polonia occupata dai nazisti e alla costruzione del muro intorno al quartiere ebraico nella città vecchia, Levinson avrebbe deciso di documentare quei fatti straordinari, con l’idea di trarne materiali per un’opera letteraria. Quei taccuini avrebbero finito per trasformarsi in una testimonianza – in presa diretta – dell’orrore ma anche dei sempre più fragili segnali di un’apparente normalità: la capacità umana di adattarsi all’ambiente e alle circostanze, unita all’incredulità con cui venivano accolte le notizie sui campi di sterminio, fece sì che nel ghetto si ricostituisse paradossalmente una società assolutamente speculare, con le sue gerarchie e le sue leggi, a quella esterna. L’inquietudine sottile e l’idea della morte, sempre presente, non riuscivano a togliere peso e significato alle piccole incombenze quotidiane e la fame, il freddo, la miseria non bastavano a cancellare, anzi mettendoli alla prova finivano con il rafforzare gli affetti e i legami familiari.

Quasi una profezia capovolta, in cui è sotteso il ricordo dei pogrom e di antiche e recenti discriminazioni, s’invera nella realtà terribile del ghetto di Varsavia; e quel muro fatto costruire agli stessi ebrei delimita la loro prigione, diventa il segno concreto e tangibile di un’esclusione dalla comunità dei viventi, il confine di un luogo in cui il tempo resta come sospeso in vista dell’inevitabile fine. Un’attesa del nulla che si riempie di emozioni, desideri, slanci del cuore: in quel limbo, prima che si compia un destino già scritto dai vincitori (sulla pelle dei vinti) con la follia della “soluzione finale”, nascono amori e amicizie, si celebrano riti e perfino feste, si accolgono i nuovi nati e si piangono i defunti, ogni istante diventa (ancor più) prezioso. Il diario di Noach Levinson registra pensieri e parole, minuti frammenti di una quotidianità che verrà cancellata all’indomani della rivolta del Ghetto di Varsavia, ultimo e disperato tentativo di non arrendersi al male. Sono le voci, i ricordi, i sentimenti degli abitanti del quartiere, i loro sogni e rimpianti, l’eco delle loro vite a emergere dalle pagine del romanzo, per risuonare ancora sulla scena.

Un’invenzione letteraria – le annotazioni sui taccuini, il tentativo riuscito di nascondere quell’estrema testimonianza sottraendola alla distruzione, l’avventuroso percorso fino in Israele poi in America di quel materiale così scottante – riesce così a restituire un volto, un’identità a quegli uomini e donne, giovani e anziani, bambini e ragazzi travolti nell’onda nera della Storia. John Hersey – già vincitore del Premio Pulitzer nel 1945 con “A Bell for Adano” sulla Sicilia durante la seconda guerra mondiale e autore di “Hiroshima” sugli effetti delle prime esplosioni atomiche – sceglie di raccontare l’esistenza all’interno del ghetto di Varsavia attraverso le parole dei protagonisti, affidando a un giornalista e aspirante scrittore il compito di testimoniare la verità. Il presunto Archivio Levinson – in bilico tra la realtà dei documenti e delle interviste, e l’immaginazione dello scrittore – rappresenta così la chiave per narrare “l’amore, la vita e la morte ai tempi del ghetto”: non un distaccato reportage giornalistico, ma il racconto in tempo reale di ciò che accade giorno per giorno sotto gli occhi del protagonista. “Il muro di Varsavia” è un romanzo in cui fiction e cronaca si intrecciano, la verità storica verificabile fornisce l’ordito su cui si costruisce una trama fatta delle tante, troppe esistenze prigioniere del ghetto.

Come ricorda il regista e dramaturg Senio G. B. Dattena nelle note:

«“Una cena veramente straordinaria” è essenzialmente una storia d’amore. Magari non proprio la classica storia d’amore, ma sempre d’amore parliamo.

Intanto è la storia di molti amori. Tra uomini e donne, tra genitori e figli e più semplicemente tra persone. Un canto per la vita, per la dignità, per la bellezza, per l’arte.

Si, perché in questa storia che conta qualcosa come mezzo milione di morti ammazzati, per tifo, fame, piombo, fuoco, gas, in questa storia ciò che colpisce di più è l’amore per la vita.

Tra cadaveri in decomposizione, deportazioni, esecuzioni sommarie e arbitrio assoluto, ciò che più emerge è una grande, indistruttibile vitalità.»

 

INFO & BIGLIETTI

MEANA SARDO

Biglietti

Posto unico: intero €10 – ridotto €7

* info: tel: 3407956549

 

SAN GAVINO MONREALE

Biglietti

intero €14 – ridotto €12

gruppi di 10 persone (associazioni) 11€

* info: tel: 3404041567

per l’Ufficio Stampa del CeDAC/ Sardegna:

Anna Brotzu – cell. 328.6923069 – cedac.uffstampa@gmail.com

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SCHEDA DELLO SPETTACOLO

Senio GB Dattena DSCF4303

TB – Teatro Barbaro

Una cena veramente straordinaria

L’amore, la vita,  la morte ai tempi del ghetto

liberamente tratto dal romanzo “Il muro di Varsavia” di John Hersey

 

con Senio G.B. Dattena
Maria Loi

Evelina Bassu

fisarmonica Maurizio Serra

adattamento e regia Senio G.B. Dattena

 

Lo spettacolo

 

Una cena veramente straordinaria” è essenzialmente una storia d’amore. Magari non proprio la classica storia d’amore, ma sempre d’amore parliamo.

Intanto è la storia di molti amori. Tra uomini e donne, tra genitori e figli e più semplicemente tra persone. Un canto per la vita, per la dignità, per la bellezza, per l’arte.

Si, perché in questa storia che conta qualcosa come mezzo milione di morti ammazzati, per tifo, fame, piombo, fuoco, gas, in questa storia ciò che colpisce di più è l’amore per la vita.

Tra cadaveri in decomposizione, deportazioni, esecuzioni sommarie e arbitrio assoluto, ciò che più emerge è una grande, indistruttibile vitalità.

 

“Una cena veramente straordinaria” prende le mosse da un’invenzione letteraria: il ritrovamento del cosiddetto Archivio Levinson, un immaginario diario della tragedia tenuto da Noach Levinson, un giornalista che all’indomani dell’occupazione tedesca della Polonia si sarebbe assunto il compito di raccontare la vita della comunità ebraica di Varsavia. Le sue note – insieme ai documenti e alle testimonianze su quei giorni terribili – confluiranno ne “Il muro di Varsavia”, il romanzo del giornalista e scrittore americano John Hersey che affida a Noach il ruolo di io narrante, riuscendo a far rivivere sulle pagine i protagonisti e a restituire loro la voce.

L’istituzione del ghetto e la trappola mortale che lentamente ma inesorabilmente si chiude intorno alla comunità, danno un senso quasi drammatico al diario di Noach: il suo obiettivo diventa quello di testimoniare, di far sapere al mondo ciò che sta accadendo dietro quel muro. Un muro che “ironicamente” i nazisti fanno costruire agli ebrei, con il denaro degli ebrei, per intrappolare gli ebrei. Noach annota quasi attimo per attimo quello che gli accade intorno. Anche le cose più banali. Il risultato è una lucidissima e fondamentale ricostruzione della vita e della morte nel ghetto.

Quel materiale preziosissimo, spiega Hersey nell’introduzione, quasi un romanzo nel romanzo, avrebbe avuto una sorte rocambolesca: negli ultimi giorni di vita del ghetto, quando le speranze di sopravvivere sono ormai nulle, Noach Levinson decide di nascondere il suo archivio sotto terra in diciassette casse di ferro e in altri infagottamenti di fortuna; un’enorme mole di lavoro, soprattutto se si considerano le terribili condizioni nelle quali è costretto a portare a termine la sua missione. Spedisce poi in varie parti del mondo la mappa dettagliatissima del nascondiglio. All’indomani della caduta del nazismo, con il ghetto completamente raso al suolo, in poche ore i documenti vengono ritrovati quasi intatti. L’archivio viene così spedito in Palestina e da lì in America dove lo stesso John Hersey, l’avrebbe trasformato in ottocento pagine bellissime e terribili, dal titolo inevitabile: “Il muro di Varsavia”.