Teatro de gli Incamminati – La Versiliana

Otello

di William Shakespeare
(traduzione Carlo Sciaccaluga)

con Filippo Dini, Antonio Zavatteri, Giulia Eugeni, Roberto Serpi, Alberto Giusta
Mariella Speranza, Massimo Brizi, Cristina Pasino

scene e costumi Catherine Rankl
luci Sandro Sussi
musiche Andrea Nicolini

regia Carlo Sciaccaluga

Note di regia

Di tutte le tragedie di Shakespeare, Otello secondo me è la più impressionante e la più terribile. Dal momento in cui nel cuore di Otello si insedia la gelosia, il cuore e la mente dello spettatore sono stretti in una morsa. Amore, pietà, paura, speranza e timorosa sospensione dell’animo lo attraversano. Forse non esiste argomento più eccitante della gelosia sessuale che sale all’intensità della passione; sono sentimenti che comportano un senso di vergogna e di umiliazione, e per questo spesso si tengono nascosti. Perché una gelosia come quella di Otello converte la natura umana nel caos, e libera la bestia che è nell’uomo. Artefice di questa liberazione è forse il più grande tra i “villains” shakespeariani, Iago, in cui il male si dispiega sotto forma di una superiorità intellettuale comune solo ad Amleto e Falstaff. Per dirla con Harold Bloom, Iago è uno straordinario psicologo e drammaturgo, e il primo esteta della storia occidentale.

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Protagonisti di questo allestimento sono attori di provato talento, Filippo Dini e Antonio Zavatteri, che negli ultimi anni hanno ottenuto meritati riconoscimenti a livello nazionale. In un’ambientazione ibrida tra il Medio Oriente antico e la prima Guerra del Golfo, con l’isola di Cipro immaginata come un decadente avamposto di Occidente accerchiato da un nemico “diverso” culturalmente, che si teme ma non si conosce davvero (situazione di cui tanti esempi abbiamo oggi), sullo sfondo del tema della diffidenza razziale e culturale si consumerà lo scontro tra “il parto mostruoso” dell’intelligenza di Iago, e la natura romantica e primitiva di Otello. Uno scontro che porterà alla più insopportabile delle sofferenze, quella dell’innocente Desdemona, e alla sensazione di una civiltà occidentale che crolla sotto il peso delle proprie stesse conquiste culturali.

La messa in scena risponderà a un’esigenza che avverto sempre più diffusa, quella di trovare una nuova via che superi l’odiosa distinzione tra spettacoli “colti” e spettacoli “popolari”, gli uni spesso cerebrali e incomprensibili, gli altri ammuffite messe in scena. La nostra ambizione, invece, è di fare del nostro Otello uno spettacolo sia colto che popolare, che emozioni il pubblico ma che, come diceva Bertolt Brecht, gli stia anche “un passo avanti”.

Carlo Sciaccaluga

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